Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 novembre 2015 – 2 febbraio 2016, n. 4170

L’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto di applicazione del principio, la S.C. ha annullato la decisione del giudice di merito qualificando ai sensi dell’art.572 cod. pen., e non come abuso dei mezzi di correzione, la condotta di ripetuto ricorso alla violenza, sia psicologica che fisica, infilitta, per finalità educative, da una maestra di scuola materna ai bambini a lei affidati). (Sez. 6 n. 5342 5 del 22/10/2014 – dep. 22/12/2014, P.M. In proc. B., Rv. 262336)

Interessante pronuncia quella della VI Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione (18 novembre 2015 – 2 febbraio 2016, n. 4170), che interviene in punto di qualificazione di condotte violente da parte degli insegnanti nei confronti dei propri alunni sotto il profilo della distinzione giuridica tra due fattispecie, apparentemente contigue, ma in realtà molto differenti.

Nella specie si tratta del reato di abuso di correzione o disciplina come previsto e disciplinato dall’art. 572 c.p. o, al contrario, del reato di maltrattamenti in famiglia, di cui al precedente art. 571 c.p.
La questione in verità, non è esente da dubbi. È richiesta, al contrario, una seria e puntuale valutazione di tutte le circostanze del caso, da ricondurre sotto l’alveo dell’una o dell’altra fattispecie astratta.

La vicenda in commento, vedeva imputata un’insegnante di una scuola elementare, per il grave delitto di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. La denuncia giungeva da alcuni genitori della scuola elementare, per presunti maltrattamenti continuati di quest’ultima nei confronti di alunni, con condotte consistite in violenze sia fisiche sia psicologiche. Già condannata in primo grado per il reato a lei ascritto, la stessa proponeva appello alla competente Corte di Brescia.

Ebbene, quest’ultima, all’esito del giudizio di secondo grado, riqualificava il reato sotto la fattispecie del delitto di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, rideterminando così la pena. Mancava, a giudizio del collegio giudicante, il dolo, seppure generico, dell’agente di sottoporre le vittime a fatti oggettivamente rientranti negli “maltrattamenti” di cui al reato contestato; difatti la finalità perseguita dalla donna “che comunque agiva nel convincimento di perseguire il fine di educare correggere la vittima” comportava che la stessa non avesse affatto ragione di percepire le proprie condotte come obiettivamente fonte di vessazione e umiliazione rilevante ai sensi dell’art. 572 cod. pen., come dimostrato dalla reazione dei minori. Ciò, quindi, imponeva la rivalutazione dei fatti (…).

Di avviso contrario la Suprema Corte di Cassazione, che senza esitazione alcuna, accoglieva il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di Appello, sotto il profilo della erronea qualificazione giuridica del fatto, in quanto in evidente contrasto con l’orientamento ormai costante della giurisprudenza, in tema di definizione dei rispettivi ambiti dei reati di cui agli articoli 571 e 572 codice penale:
Chiunque abusa dei mezzi di correzione e di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigianza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi”.

L’abuso dei mezzi di correzione previsto e punito dall’art. 571 c.p. presuppone un uso corretto e legittimo di tali mezzi, tramutato per eccesso in illecito (abuso).
L’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche lì dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie sopra delineata ma deve concetizzarsi necessariamente, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nel reato più grave di maltrattamenti (Sez. VI, 12/36564).

Ma è giusto parlare di correzione? O è scelta linguistica datata e anacronistica?

La Cassazione, ha più volte spiegato che con riguardo ai bambini, il termine «correzione», vada assunto come sinonimo di educazione, con riferimento ai connotati intrinsecamente conformativi di ogni processo educativo. In ogni caso, non può ritenersi tale, l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi e ciò sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche del minore, ormai soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, semplice soggetto di protezione (se non addirittura di disposizione) da parte degli adulti; sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo di persoanlità, sensibile ai valori di pace, di tolleranza, di convivenza utilizzando un mezzo violento che tali fini contraddice.

Secondo il prevalente e condivisibile orientamento della dottrina e della giurisprudenza, è l’abuso – e non lo scopo che anima l’agente – il momento essenziale e caratteristico del fatto di reato. Cosicché, si è precisato che «ai fini della distinzione tra il delitto di maltrattamenti (art. 572 c.p.) e quello di abuso di mezzi di correzione (art. 571 c.p.) non rileva la finalità avuta di mira dal reo, sicché non importa se questi abbia agito per scopi ritenuti educativi; quel che rileva è unicamente la natura oggettiva della condotta, sicché non è configurabile il meno grave reato di abuso dei mezzi di correzione quando i mezzi adoperati siano oggettivamente non compatibili con l’attività educativa, come nel caso di percosse e maltrattamenti fisici e psicologici» (Cass., 22.9.2005; Cass., 18.3.1996; Cass., 7.2.2005).

Similmente, si è affermato che il fulcro attorno al quale ruota la tipicità dell’illecito è rappresentanto dall’«illiceità del mezzo utilizzato». Manca, quindi, l’elemento materiale del delitto in oggetto «se viene utilizzato il potere di correzione o di disciplina al di fuori dei casi consentiti o con modi di per se illeciti» (Cass., 8.10.2002).

Peraltro, si sottolinea come il reato non possa ritenersi escluso per il solo fatto che gli abusi non siano stati particolarmente violenti, ovvero siano stati commessi per un preteso fine educativo. (Cass. 7.2.2005).

Secondo, ancora, un altro (e più risalente) orientamento dottrinale (Manzini), seguito anche da una parte della giurisprudenza, assumerebbero scarso rilievo le modalità oggettive della condotta, atteso che il perseguimento del fine di correzione o di disciplina (animus corrigendi) da parte dell’agente permetterebbe di far confluire nell’alveo del delitto contemplato dall’art. 571 c.p. qualunque mezzo utilizzato, quindi anche violento, a patto che abbia procurato pericolo di malattia per il soggetto passivo.

Alla luce di questa opzione ermeneutica, la Corte di Cassazione ha osservato che «i concetti di uso e di abuso acquistano una rilevanza giuridica definita se raccordati al diritto soggettivo (o alla potestà) cui si riferiscono, e non già se riportati agli strumenti (mezzi) con cui il diritto o la potestà vengono esercitati.
Non è mancata tuttavia, l’opinione di chi, al contrario, ha ritenuto che l’animus corrigendi debba essere inteso quale «filtro selettivo» delle condotte rilevanti ai sensi dell’art. 571 c.p., con la necessità di accertare di volta in volta «che il motivo determinante dell’agente sia quello disciplinare e correttivo». (Cass. pena., 16.1.1996, in Cass. pen., 1997, 40 vedi anche Cass., 8.5.1990, in Cass pen., 1992, 2339; Cass., 11.4.1996, in Foro it., II, 408).

Tale valorizzazione del dato intenzionale, però, mal si concilia con i principi espressi dalla Corte costituzionale e dalle fonti internazionali in tema di diritti inviolabili dell’uomo (il cui nucleo essenziale è rappresentato dal rispetto della dignità e dell’integrità della persona). Senza contare che
le acquisizioni della moderna pedagogia escludono che le umiliazioni o sofferenze, fisiche o psicologiche, inflitte ad un soggetto minore possono sortire un qualche effetto positivo; e del resto il riconoscimento, sul piano sia nazionale che internazionale, del minore quale soggetto di diritti la cui personalità (ancora in fieri) impone un’effettiva tutela, difficilmente risulta compatibile con il riconoscimento di uno ius corrigendi dai contenuti afflittivi. (Sesta)

Avv. Sabrina Caporale

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1 commento

  1. Salesiani Caserta
    Come puo una maestra tirare l’orecchio e per fine i capelli di un bimbo da 6 anni e dopo alcuni difendere la maestra?
    Dove sono gli insegnamenti di Don Bosco con questa maestra? È solo un bimbo da 6 anni

    Ho messo mio figlio nella scuola che credevo la migliore ma ho saputo che la maestra lo ha preso per l’orecchio diverse volte a oggi per i capelli dopo avere scapato. Non capivo perché lui insisteva a ignorare suoi comandi e adesso ho capito, lei non lo rispetta e lui non la rispetterà mai. E il triste che ho saputo dopo un mese per la boca di una collega della scuola e dopo per la sua boca. Dopo una riunione hanno messo tutta la colpa nel bimbo da 6 anni. Scuola privata con tanti belle insegnanti ma una per me ha distrutto l’immagine dei Salesiani. Sicuro lei non segue gli insegnamenti di Don Bosco e io ho messo mio figlio proprio per il sistema preventivo che parla di pazienza e amore.

    Molto triste e impotente con questa situazione.

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