La Cassazione con una specifica sentenza chiarisce i confini del ruolo del whistleblower e specifica quando l’investigazione può trasformarsi in reato

Con la sentenza n. 35792/2018 Cassazione ha fatto il punto sul ruolo del whistleblower fornendo dei chiarimenti importanti.

Quando un pubblico dipendente in quanto whistleblower accede illegalmente al sistema informatico di un istituto utilizzando false credenziali commette infatti un reato.

La sua condotta, infatti, non può essere scriminata dalla causa di esclusione dell’adempimento di un dovere.

Ciò in quanto l’art. 54 bis del dlgs n. 165/2001 tutela esclusivamente il dipendente della PA che viene a conoscenza, nell’esercizio del suo ufficio, di fatti antigiuridici. E questo senza che su di lui gravi alcun obbligo d’inserirsi nell’iter criminis.

La vicenda                

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto integrato l’illecito di accesso al sistema informatico di un Istituto in cui l’imputato si era introdotto utilizzando l’account e le password di altra dipendente.

Tramite queste credenziali, il dipendente aveva elaborato un falso documento di fine rapporto a nome di persona che non aveva mai prestato servizio presso l’amministrazione, cancellandolo subito dopo la compilazione. E questo “reputando non conducente – in punto di esclusione dell’antigiuridicità del fatto tipico – l’asserita funzione di sperimentazione della vulnerabilità del sistema, prospettata dal ricorrente.”

L’imputato ha fatto ricorso in Cassazione, in quanto a suo avviso la Corte non aveva tenuto conto del fatto che la sua condotta doveva considerarsi giustificata, anche in forma putativa.

Questo perché rispondente all’adempimento di un dovere. Un dovere che, secondo il whistleblower, era “fondato sul vincolo di fedeltà che lega il pubblico dipendente all’amministrazione derivante dagli artt. 54 e 54 bis del d.lgs. 165/2001, disposizioni che prevedono obblighi di informazione finalizzati alla prevenzione di fenomeni illeciti, quali la corruzione, a cui è correlata la non punibilità, sotto il profilo disciplinare e antidiscriminatorio, del dichiarante.”

L’art. 54 bis del d. Igs. 165/2001, modificato dall’art. 1 della legge 30.11.2017, n. 179, disciplina la “segnalazione di illeciti da parte di dipendente pubblico”. Inoltre, mira a tutelare il soggetto “legato da un rapporto pubblicistico con l’amministrazione, che rappresenti fatti antigiuridici appresi nell’esercizio del pubblico ufficio o servizio.”

Ricorda la Corte che questo istituto “che presenta analogie con altre figure di ambito internazionale (da cui deriva anche il termine whistleblowing), si conforma strutturalmente all’art. 361 cod. pen. ma se ne distingue in riferimento ai presupposti ed all’ambito di operatività.”

Scrivono i giudici che dalla “disciplina invocata dal ricorrente quale fonte di un dovere giuridico a cui l’imputato avrebbe inteso ottemperare” emerge un aspetto importante.

Ovvero che in realtà questa si limita “a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente al rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge”.

Pertanto, l’assenza di un obbligo informativo impedisce di ritenere sussistente il reato. E questo anche nella forma putativa, poiché non è scusabile l’errore del whistleblower sull’esistenza di un dovere.

Dovere che sia in grado di giustificare “l’indebito utilizzo di credenziali d’accesso a sistema informatico protetto – peraltro illecitamente carpite in quanto custodite ai fine di tutelarne la segretezza – da parte di soggetto non legittimato”.

A questo riguardo, scrive la Corte, l’insussistenza dell’invocata scriminante dell’adempimento del dovere è fondata sugli stessi principi che, in tema di “agente provocatore”, giustificano solo la condotta che non si inserisca, con rilevanza causale, nell’iter criminis, “ma intervenga in modo indiretto e marginale concretizzandosi prevalentemente in un’attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui”.

 

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