La valutazione della attendibilità delle dichiarazioni del minorenne, persona offesa dal reato di abuso dei mezzi di correzione, spetta esclusivamente al Giudice, che deve procedere direttamente all’analisi della sua condotta, della linearità del suo racconto e dell’esistenza di riscontri esterni

La vicenda

La Corte d’Appello di Bologna aveva confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Forlì ad una docente di matematica e di inglese di una scuola primaria per abuso dei mezzi di correzione e disciplina, nei confronti di alcuni alunni della sua classe.

Da quanto accertato l’insegnante aveva tirato oggetti e rivolto espressioni inappropriate contro i minori, utilizzando con modi autoritari un fischietto, per richiamarne l’attenzione, impartendo punizioni (consistenti nel costringerli a rimanere in piedi), con conseguente pericolo di arrecare a questi ultimi danni psico-fisici.

Contro tale decisione la difesa dell’imputata aveva proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.

In primo luogo, aveva lamentato l’inosservanza delle norme processuali concernenti le dichiarazioni dei minorenni (di età fra i nove e i dieci anni all’epoca dei fatti) – sentiti dal consulente tecnico del Pubblico ministero ex art. 359 c.p.p., senza la partecipazione della difesa e senza una valutazione preliminare della capacità a testimoniare, con domande – a detta del difensore – suggestive, relative a fatti anteriori di 3 anni – poi acquisite al fascicolo del dibattimento previa trascrizione delle videoregistrazioni mediante perizia.

Inoltre, aveva denunciato la mancata valutazione delle “criticità e contraddittorietà delle dichiarazioni” sia dei bambini (divergenti circa la collocazione temporale degli episodi e la loro natura) che degli altri testimoni; le “numerose prove testimoniali favorevoli alla difesa della maggior parte dei genitori degli alunni e dei colleghi della insegnante”; ed anche la mancata considerazione delle ragioni che avevano portato la maestra a denunciare i fatti oggetto di imputazione.  

L’ascolto del minore vittima di reato abuso dei mezzi di correzione

La giurisprudenza della Corte di cassazione ha costantemente ribadito la necessità di particolari cautele nella valutazione delle dichiarazioni rese da soggetti minorenni, soprattutto quando sono vittime di reati sessuali, ma secondo canoni che possono valere anche per altre tipologie di reati – fra i quali, specialmente i reati di maltrattamenti e di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina – poiché connessi alle condizioni proprie dell’età infantile o adolescenziale.

In tale ottica, il Supremo Collegio ha affermato che la valutazione delle dichiarazioni accusatorie provenienti da persone offese minorenni non obbliga nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero a disporre consulenza personologica ex art. 360 c.p.p. o a richiedere al giudice per le indagini preliminari un incidente probatorio, essendo ammissibile la procedura (non garantita) prevista dall’art. 359 c.p.p., i cui esiti sono utilizzabili nei riti speciali o nel giudizio ordinario su accordo tra le parti (Sez. 3, n. 8541 del 18/10/2017; Sez. 3, n. 37147 del 18/09/2007).

In generale, il mancato espletamento della perizia sulla capacità a testimoniare non rende inattendibile la testimonianza della persona offesa, perché la perizia non è indispensabile se non emergono elementi patologici che lascino dubitare della capacità del testimone (Sez. 3, n. 8541 del 18/10/2017). Resta fermo, però, che è necessaria una perizia psicologica per accertare l’attitudine della persona offesa minorenne a testimoniare, in particolare se si profila il rischio di eventuali elaborazioni fantasiose proprie della sua struttura personologica (Sez. 3, n. 948 del 07/10/2014) e tale principio vale anche relativamente alle dichiarazioni di minorenni persone offese dal reato di abuso di mezzi di correzione o disciplina.

Perciò in mancanza della perizia (lacuna non facilmente colmabile con il trascorrere del tempo) il giudice può valorizzare altri elementi di prova o di riscontro oggettivi con adeguata e puntuale motivazione (Sez. 3, n. 1234 del 02/10/2012).

Si è detto infatti che “in ogni caso, la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del minorenne, persona offesa, presuppone un compiuto esame della sua credibilità, considerandone l’attitudine, in termini intellettivi e affettivi, a testimoniare, la capacità di recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle, le condizioni emozionali che modulano i rapporti col mondo esterno, la qualità e natura delle dinamiche relazionali e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute, con particolare attenzione alla possibilità di tendenziose affabulazioni (Sez. 3, n. 29612 del 05/05/2010), al fine di escludere l’intervento di fattori in grado di inquinarne la credibilità (Sez. 3, n. 8057 del 06/12/2012), nel contesto delle relazioni con l’ambito familiare e extrafamiliare e dei processi di rielaborazione delle vicende vissute (Sez. 3, n. 39994 del 26/09/2007).

La valutazione della attendibilità delle dichiarazioni del minorenne persona offesa spetta esclusivamente al Giudice, che deve procedere direttamente all’analisi della condotta del dichiarante, della linearità del suo racconto e dell’esistenza di riscontri esterni allo stesso, non limitandosi a richiamare il giudizio al riguardo espresso da periti e consulenti tecnici, ai quali può chiedersi solo di accertare la capacità del testimone di rendersi conto dei comportamenti subiti e di riferirne attualmente senza influenze dovute a alterazioni psichiche (Sez. 3, n. 47033 del 18/09/2015; Sez. 3, n. 24264 del 27/05/2010).

È, infatti, viziata da manifesta illogicità la sentenza che fondi l’attendibilità e credibilità delle dichiarazioni del minorenne persona offesa solo sull’intrinseca coerenza del racconto, senza considerare tutte le altre circostanze concrete (Sez. 3, n. 39405 del 23/05/2013).

“Questi principi – ha affermato la Cassazione – valgono anche relativamente alle dichiarazioni di minorenni persone offese dal reato di abuso di mezzi di correzione o disciplina.

I giudici del Palazzaccio hanno inoltre affermato che “per aversi una testimonianza genuina è necessario evitare le domande suggestive (quelle che inducono informazioni o danno per accertato un fatto che l’esaminando non ha riferito, oppure che tendono a suggerire o provocare una risposta secondo l’intento di chi interroga)”. (…) La necessità di evitare domande suggestive si collega alla esigenza di acquisire una testimonianza affidabile. In particolare, gli studi sulla memoria infantile comprovano una conoscenza comune: i bambini hanno modalità di relazione orientate in senso imitativo e adesivo, sono influenzabili da stimoli potenzialmente suggestivi e, mancando di adeguate risorse critiche, tendono a non differenziare le proprie opinioni da quelle dell’interlocutore, soprattutto se questi appare loro come una figura autorevole.

Ebbene, nel caso in esame, le audizioni (protette) dei testimoni minorenni indicati nella imputazione come persone offese erano avvenute in presenza del consulente tecnico psicologo del pubblico ministero e il giudice ne aveva disposto la trascrizione nella forma della perizia nel dibattimento.

Il giudice di primo grado aveva riportato le dichiarazioni dei minori, escludendo contraddizioni o incompatibilità.

Tali contraddizioni erano state rilevate successivamente dalla difesa nell’atto di appello; ciononostante la Corte di appello aveva omesso di affrontare la questione del carattere suggestivo delle domande, limitandosi ad osservare che i contenuti delle risposte fornite dai bambini risultavano fra loro “reciprocamente corroborantesi e sostanzialmente assai omogenee” e ribadendo che la loro capacità a testimoniare era stata accertata da una psicologa specializzata, consulente tecnico del Pubblico ministero, secondo criteri scientifici condivisibili e non specificamente contestati dalla difesa.

Insomma, la corte di merito non aveva risposto alla doglianza della presunta suggestività delle domande, sulle cui risposte era stata fondata la sentenza di primo grado.

Per queste ragioni, la Corte di Cassazione (Sesta Sezione Civile, sentenza n. 12068/2020) ha annullato la pronuncia di merito, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bologna per una nuova valutazione delle dichiarazioni accusatorie.

Avv. Sabrina Caporale

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