Respinta l’istanza di un uomo sottoposto a custodia cautelare in carcere che chiedeva la sostituzione della misura per poter assistere la moglie affetta da sclerosi multipla

Aveva chiesto la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, applicata nei suoi confronti con riferimento al reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, di cui all’art. 74 del D.P.R. n. 309 del 1990, con quella degli arresti domiciliari. La richiesta era motivata dalle gravi condizioni di salute della moglie, affetta da sclerosi multipla.

L’istanza, tuttavia, era stata rigettata sia dal GIP che dal Tribunale del Riesame. Quest’ultimo organismo, in particolare, aveva ricordato in primo luogo che il detenuto, a seguito di rito abbreviato, era stato condannato alla pena di 6 anni e 8 mesi di reclusione, per aver avuto parte di un’associazione che gestiva la piazza dello spaccio di stupefacenti in un Comune del milanese, operando illecitamente anche quando si era già manifestata la malattia della moglie. Inoltre non erano state chiarite le esigenze quotidiane della consorte né era stato precisato in che modo la stessa fosse stata assistita sia negli anni in cui il marito era dedito alla attività illecita, sia dal momento in cui era iniziata la detenzione.

Nell’impugnare la decisione davanti alla Suprema Corte il ricorrente aveva osservato che, a differenza di quanto sostenuto dai giudici cautelari, le condizioni di salute particolarmente gravi del coniuge di un detenuto in custodia cautelare devono ritenersi idonee a determinare la modifica del regime cautelare con una misura meno afflittiva, posto che nell’ordinamento è previsto l’obbligo di assistenza morale e materiale tra i coniugi, per cui la salute del coniuge dell’imputato non può non assumere rilievo, avendo il detenuto il diritto e il dovere di prestarvi adeguata assistenza.

Per la Cassazione, che si è pronunciata sul caso con la sentenza n. 14757/2020 il ricorso è infondato.

Per i Giudici Ermellini, infatti, l’impostazione seguita dal Tribunale, in quanto sorretta da considerazioni non illogiche, non prestava il fianco alle censure difensive, anche perché coerente con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in tema di provvedimenti coercitivi, il divieto di disporre la custodia cautelare in carcere, costituendo norma eccezionale, non è applicabile estensivamente a ipotesi diverse da quelle espressamente contemplate.

Nello specifico- sottolineano dal Palazzaccio – il legislatore ha previsto che, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore ai tre anni con lei convivente, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, ciò nell’avvertita esigenza di garantire ai figli l’assistenza familiare in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro formazione fisica e soprattutto psichica.

E’ poi previsto il divieto di disporre la misura di massimo rigore, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, quando l’imputato sia persona che ha superato l’età di 70 anni.

Infine, la normativa prevede che non può essere disposta o mantenuta la custodia cautelare in carcere, quando l’imputato è persona affetta da Aids conclamata, o da grave deficienza immunitaria, accertate nelle forme previste dalla legge, oppure da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.

Le ipotesi in cui non può avere luogo l’applicazione della custodia cautelare in carcere risultano dunque essere tassativamente previste, secondo una casistica riferita direttamente alla persona destinataria della misura custodiale, per cui non appare consentita un’interpretazione estensiva del regime derogatorio previsto dal legislatore, che invero di per sé non rivela profili di irragionevolezza.

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