Alea dell’infezione nosocomiale (Cassazione civile, sez. III, 27/02/2023, n.5808).

Alea dell’infezione nosocomiale post intervento chirurgico.

L’Azienda Ospedaliera propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 2249 del 2019, depositata il 19.11.2019.

Il paziente veniva sottoposto a un intervento al femore dal quale esitavano postumi invalidanti permanenti per l’insorgere di una infezione: ad un anno di distanza, nuovamente ricoverato per i dolori alla regione coxo-femorale, veniva diagnosticata  “necrosi cefalica femorale in sede di pregressa frattura basicervicale sinistra”, che determinava la necessità di installare una protesi all’anca.

Il Tribunale di Palermo condannava l’Azienda ospedaliera al pagamento dell’importo di euro 152.000,00.

Il successivo appello dell’Azienda ospedaliera veniva accolto solo in parte, limitatamente alle spese di primo grado.

La vicenda approda in Cassazione dove l’Azienda deduce l’errato addebito di responsabilità dell’insorgere dell’infezione e la quantificazione del danno non patrimoniale, sull’assunto che neppure il comportamento maggiormente osservante delle regole sanitarie sia in grado di escludere il verificarsi di infezioni nosocomiali.

Sostiene l’Azienda Ospedaliera che, pur avendo dato atto che anche il comportamento più diligente non sarebbe comunque riuscito ad evitare un rischio di infezione, pur ridotto al 30%, la corte d’appello avrebbe correttamente dovuto escludere totalmente la riconducibilità del danno conseguente all’infezione alla responsabilità della struttura sanitaria, o quanto meno ridurre proporzionalmente il risarcimento liquidato.

La Corte d’appello, condividendo le valutazioni del primo Giudice, ha ritenuto provato il rapporto di causalità tra l’esecuzione dell’intervento chirurgico e l’avvenuta contrazione della infezione nosocomiale con esiti invalidanti, ribadendo che gravava sulla struttura sanitaria il compito di assicurare, e l’onere di provare, l’avvenuta diligente sterilizzazione dell’ambiente ospedaliero, della sala operatoria, dei luoghi di degenza e di tutte le attrezzature e che, di contro, l’azienda non aveva neppure cercato di provare di avere seguito regolarmente i protocolli di disinfezione e sterilizzazione della sala operatoria.

Ebbene, tale decisione si fonda sulla corretta applicazione del principio di diritto, secondo il quale “in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza”.

La Corte d’appello ha escluso, con valutazione non rinnovabile in Cassazione, che la struttura sanitaria avesse fornito la prova liberatoria che l’evenienza infettiva fosse imprevedibile o inevitabile, e come tale non imputabile.

La Corte d’appello inoltre esclude, che la percentuale del 30% di alea dell’infezione nosocomiale, pur quando le strutture sanitarie abbiano adottato tutte le più idonee precauzioni debba essere tenuta in conto ai fini di una riduzione percentuale della somma equitativamente liquidata a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, incidendo essa sulla causalità materiale, e non sulla causalità giuridica, né tanto meno sul concorso di colpa del danneggiato.

Per il resto, la valutazione equitativa del danno non patrimoniale è stata correttamente compiuta sulla base delle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano.

La Corte rigetta il ricorso.

Avv. Emanuela Foligno

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