Per la Cassazione, ai fini della configurabilità del reato, lo stato di alterazione psicofisica del conducente non deve essere necessariamente accertato attraverso l’espletamento di una specifica analisi medica

Dieci punti decurtati dalla patente e sospensione del documento di guida per due anni. Questa la sanzione applicata dalla Prefettura di Brindisi a un automobilista a cui i Carabinieri avevano contestato l’illecito di cui all’art. 187, 1. comma, del codice della strada per guida in condizioni di alterazione psicofisica dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.

L’uomo aveva proposto opposizione al verbale davanti al giudice di pace che l’aveva rigettata. Il Tribunale di Brindisi, pronunciandosi in sede di appello, aveva invece  accolto il gravame, annullando il provvedimento. Il Giudice ha infatti premesso che, ai fini dell’integrazione del reato contestato, è necessario essere colti alla guida di un veicolo in stato di alterazione psicofisica derivante dall’uso di sostanze stupefacenti. Non è sufficiente essere semplicemente sorpresi alla guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti.

Nel caso esaminato, gli elementi raccolti all’esito delle indagini (le dichiarazioni rese dallo stesso automobilista ai verbalizzanti, le circostanze acclarate e riferite dai medesimi verbalizzanti in qualità di testimoni e il risultato delle analisi delle urine) avevano valenza di semplici indizi. Non erano dunque sufficienti a dar ragione della quantità di sostanze stupefacenti assunte e dell’incidenza sullo stato psicofisico dell’appellante al momento dell’elevazione del verbale.

Contro tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno, denunciando la violazione e falsa applicazione della normativa in materia.

Nello specifico, il dicastero deduceva che, alla stregua degli elementi indiziari raccolti (uso di cannabinoidi attestato dall’analisi delle urine, sintomi di “eccitazione, senso di sicurezza e occhi lucidi” attestati dal verbale elevato dai carabinieri al momento dell’accertamento, dichiarazione dell’uomo di aver fatto uso di stupefacenti il giorno precedente), il tribunale avrebbe dovuto “ritenere sussistente lo stato di alterazione e quindi (…) la condotta illecita contestata, salvo prova contraria dell’interessato”.

Inoltre, in base alla tesi del ricorrente, l’art. 187 c.d.s. “non richiede che lo stato di alterazione debba essere accertato mediante indagine sulla quantità delle sostanze stupefacenti, attraverso l’espletamento di una specifica analisi medica”. Nel caso in questione, a fronte dei rilevanti elementi indiziari acquisiti, l’onere della prova sarebbe stato pienamente assolto, per cui ricadeva sull’interessato “dimostrare che lo stato di alterazione derivava da altra causa”.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 1732/2020,  ha ritenuto il ricorso fondato e meritevole di accoglimento.

Per gli Ermellini, ai fini della configurabilità della contravvenzione di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, lo stato di alterazione psicofisica del conducente non deve essere necessariamente accertato attraverso l’espletamento di una specifica analisi medica.

Il Giudice può infatti desumerla dagli accertamenti biologici dimostrativi dell’avvenuta precedente assunzione dello stupefacente, unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificato.

Al contempo l’alterazione richiesta per l’integrazione del reato di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti, esige l’accertamento di uno stato di coscienza semplicemente modificato dall’assunzione delle predette sostanze, che non coincide necessariamente con una condizione di intossicazione.

Nella vicenda esaminata, dunque, il giudice di seconde cure aveva sbagliato a porre in risalto il “difetto di elementi diagnostici da cui desumere la quantità di sostanze stupefacenti assunte” ritenendo “il tipo di indagine eseguita inidonea a rilevare la quantità di sostanza presente nell’organismo”.

Al contempo aveva errato, a considerare insufficienti gli elementi di prova raccolti.

D’altro canto – specificano dal Palazzaccio – è inevitabile che l’assunzione di sostanza stupefacente determini un’alterazione psicofisica, sicché, in assenza di riscontro dell’operatività di un fattore eziologico di diversa natura, non può esser condiviso il postulato del giudice a quo, secondo cui “quand’anche effettivamente il Ru. al momento dell’operato accertamento mostrasse (…) una condizione attuale di alterazione psicofisica, tuttavia non vi è alcuna certezza che tale condizione fosse dipesa dall’uso della sostanza rinvenuta nelle urine”.

La redazione giuridica

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