Anestesia epidurale per intervento di crossectomia e decesso (Cassazione civile, sez. III, 24/05/2023, n.14335).
Intervento di crossectomia safena femorale sx e decesso indotto dall’anestesia epidurale.
I congiunti della paziente deceduta impugnano in Cassazione la decisione della Corte di Appello di Cagliari che, in accoglimento del gravame del Medico, rigettava la domanda di risarcimento dei danni da loro avanzata nei confronti dell’Anestesista, perché ritenuta responsabile del decesso del familiare in conseguenza della anestesia epidurale in occasione di un intervento programmato di crossectomia safena femorale sinistra, resosi necessario per una insufficienza venosa della paziente.
I Giudici di Appello osservavano:
a) la rinnovazione della C.T.U. in sede di appello si era resa necessaria per accertare “se le patologie insorte” che avevano portato alla morte erano prevedibili, prevenibili ed evitabili, essendo, peraltro, certo il nesso causale tra il decesso della paziente e l’arresto cardiaco provocato dalla anestesia epidurale, avendo la somministrazione dei farmaci anestetici determinato un insulto anossico cerebrale e, quindi, il coma profondo e la morte della della paziente; D.;
b) il C.T.U. nominato in secondo riteneva “che il trattamento della paziente, dal momento della visita pre-anestesiologica, fino al monitoraggio successivo alla somministrazione degli anestetici, appariva conforme alle linee guida e rispondente alle leges artis”; b.1) in particolare, la tecnica praticata, ossia l’anestesia peridurale, era da ritenere “la prima scelta nel tipo di intervento cui la paziente doveva essere sottoposta, e la scelta dei farmaci, il dosaggio degli stessi e la sede di iniezione (erano) da considerare congrui per detto tipo di anestesia”;
c) in ragione della “bassa incidenza di episodi di arresto cardiaco a seguito di anestesia epidurale”, non sussistevano “sufficienti elementi per stabilire con chiarezza un’univoca spiegazione dell’insorgenza del fenomeno, potendosi ipotizzare differenti meccanismi patogenetici”; escluso che “l’evento avverso possa essere ricondotto all’iniezione accidentale del farmaco anestetico all’interno di un vaso sanguigno, poiché in tal caso vi sarebbe stato un reflusso di sangue che avrebbe impedito l’iniezione successiva del farmaco da parte dell’anestesia”;
d) l'”unica eventuale criticità nella gestione clinica della paziente a seguito del deterioramento dei parametri vitali dopo l’induzione dell’anestesia” era stata dal C.T.U. individuata “nel momento di somministrazione di farmaci vasoattivi (quali l’effortil) atti a contrastare”, in modo tempestivo, la bradicardia e la ipotensione ingravescenti, avendo, però, lo stesso C.T.U. dato atto “che l’efficacia clinica del tempestivo ricorso a tale tipo di farmaci non è confortata da evidenze scientifiche sufficientemente convalidate”; in particolare, il C.T.U. aveva precisamente affermato che “la scarsità dei dati riportati in letteratura circa l’efficacia di tale trattamento, non permette, tuttavia, di stabilire con qualche grado di certezza, che il ricorso a tale classe farmacologica avrebbe permesso una sicura stabilizzazione dei parametri vitali della paziente, evitando l’evoluzione verso l’arresto cardiaco e il successivo exitus”;
e) pertanto, in base al “contenuto complessivo dell’elaborato peritale”, doveva “ritenersi che la evitabilità dell’arresto cardiaco attraverso la tempestiva somministrazione dell’Effortil, o di farmaci analoghi, (fosse) da ritenersi unicamente come possibile, non essendo possibile formulare in proposito un giudizio di probabilità scientifica, necessario al fine di affermare la responsabilità del medico anestesista in relazione all’evento la cui evoluzione condusse poi alla morte della paziente”.
I ricorrenti lamentano, per quanto qui di interesse, oltre all’errato riparto dell’onere probatorio, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente sussunto i fatti concernenti la responsabilità contrattuale del Medico, in quanto, per “necessarietà logica”, si imponeva “una ricostruzione della quaestio facti sulla base del materiale probatorio certamente diversa da quella operata dal Giudice di merito”. In sostanza, il Giudice di appello avrebbe travisato il significato e le risultanze peritali, adottando “una interpretazione logica insostenibile con conseguente erronea applicazione di una norma di diritto”. Lo stesso C.T.U. di secondo grado, sempre secondo la tesi dei ricorrenti, aveva evidenziato “l’errore commesso dall’anestesista che procede alla somministrazione delle amine vasoattive quando ormai la paziente risultava in arresto cardiaco” e, pertanto, non poteva la Corte territoriale, al fine di escludere la responsabilità del medico, “attribuire un significato completamente diverso alle parole usate dal CTU”, assumendo, diversamente da quelle parole, “che la letteratura scientifica non consente di affermare che il ricorso a tale classe di farmaci avrebbe con certezza permesso un miglioramento dei parametri clinici della paziente”, poiché detta responsabilità “non deve essere valutata… in relazione ad un criterio di certezza ma piuttosto facendo riferimenti esclusivo a criteri probabilistici”.
La censura viene ritenuta inammissibile.
La prospettazione del vizio di sussunzione, è attinente all’erronea riconduzione della fattispecie materiale a quella legale (e, quindi, del fatto alla norma che è deputata a dettarne la disciplina e regolarne gli effetti).
Pertanto, è estraneo al vizio di sussunzione ogni critica che investe la ricostruzione e l’accertamento del fatto materiale (suscettibile, invece, di sindacato nei limiti previsti dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c., ossia di omesso esame che sia decisivo e discusso tra le parti), da cui, invece, nella sua portata, come giudizialmente definita, deve muovere la censura di erronea riconduzione di esso alla norma di riferimento.
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del Giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile.
Il principio della libera valutazione delle prove integra vizio censurabile in Cassazione solo quanto il Giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.
Ed ancor, il vizio di travisamento della prova, riferito alle risultanze della CTU, può essere prospettato solo qualora venga escluso qualsiasi profilo di valutazione da parte del Giudice. Invece, i ricorrenti imputano al Giudice di appello proprio “l’avere adottato una interpretazione logica, a loro avviso insostenibile, circa il significato e le risultanze peritali”.
Sul prospettato errato riparto degli oneri probatori i ricorrenti evidenziano che il CTU di secondo grado accertava criticità dell’operato dell’anestesista dopo la somministrazione dei farmaci, e osservava che tra le cause più probabili della bradicardia e, quindi, dell’arresto cardiaco a seguito di iniezione di anestetico nello spazio peridurale vi era la “potenziale tossicità dei farmaci anestetici utilizzati, essendo noto che la Bipuvacaina (anestetico utilizzato nel caso di specie), può associarsi ad effetti avversi a carico del sistema cardiocircolatorio”, come risultante anche dalla scheda del farmaco.
Sul punto la Corte Suprema rammenta che per superare la presunzione di cui all’art. 1218 c.c. non è sufficiente dimostrare che l’evento dannoso per il paziente costituisca una “complicanza”, rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile.
I Giudici di Appello, in base alla seconda CTU, hanno accertato che, sebbene sussistesse il nesso causale tra l’anestesia epidurale (rispetto alla quale la condotta dell’Anestesista era semmai censurabile esclusivamente per l’intempestivo intervento nella somministrazione di farmaci vasoattivi per contrastare la brachicardia e la ipotensione ingravescenti) e il decesso della paziente, tale evento non poteva essere alla stessa imputabile, giacché era da escludersi “la evitabilità dell’arresto cardiaco attraverso la tempestiva somministrazione dell’Effortil, o di farmaci analoghi” in base ad “un giudizio di probabilità scientifica”.
Quindi, i ricorrenti non hanno colto la ratio decidendi della decisione impugnata poiché assumono la mancanza di prova dell’evento inevitabile, come tale idoneo ad elidere l’addebito di responsabilità a carico del medico anestesista.
Il ricorso viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno
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