Parodontosi con riassorbimento creste alveolari ed errate cure (Tribunale Cosenza, Sentenza n. 642/2023 pubblicata il 08/04/202).

Parodontosi e inadeguata esecuzione-applicazione di protesi dentarie.                        

Il paziente, a seguito di diagnosi di parodontosi con riassorbimento delle creste alveolari, depositi di tartaro sul colletto dei denti, mesializzazione di 4,8, apice radicolare incluso a livello di 1,4 e tasca periradicolae a carico di 3,3-4,3” si era recato presso lo studio dell’Odontoiatra convenuto.

Seguiva estrazione di 9 denti e consegna di una protesi dentaria che gli procurava forti dolori. Le cure proseguivano per circa 1 anno nel corso del quale si verificava la rottura della prima protesi e il riposizionamento di una seconda protesi che, sebbene non gli procurasse dolori, gli impediva di masticare e parlare correttamente.

Le cure venivano interrotte e l’attore si rivolgeva ad altro professionista  che diagnosticava una “parodontite cronica con grave compromissione dell’apparato di sostegno osseo e parodontale”.

Il Tribunale dispone CTU medico-legale.

Il Consulente ha concluso che “all’epoca dei fatti era già un paziente paradontico con una paradontite moderata ma tuttavia trattabile e potenzialmente recuperabile o quantomeno gestibile nel senso di mantenimento” a seguito dell’applicazione a cura dei convenuti di “protesi rimovibili parziali superiori ed inferiori ha provocato nel tempo ulteriori danni all’apparato stomatognatico in quanto non congrue, aggravando altresì la malattia paradontale…. L’intervento di avulsione effettuato ha riguardato anche elementi recuperabili attraverso degli step curativi di detrattage e curettage sopra e sotto gengivali, come previsti dalle linee guida odontoiatriche ministeriali… il dott. di conseguenza ha estratto elementi dentali potenzialmente recuperabili (n. 21, 23, 43); in particolare avrebbe dovuto programmare un piano terapeutico finalizzato al recupero dentoparadontale con sedute di scaling e rootplaning per riattivare la circolazione sanguigna in modo da riossigenare il paradonto e rafforzare le strutture annesse di tutti gli elementi presenti….Dopo l’estrazione sono stati applicati dei manufatti protesici rimovibili i quali hanno nel tempo aggravato la situazione”.

Il CTU ha inoltre riconosciuto un nesso di causalità dovuto dal fatto che “i convenuti hanno avulso tre elementi dentali che si sarebbero potuti salvaguardare, insieme a tutti gli altri elementi presenti nel cavo orale” riconoscendo, altresì, un nesso di causalità, in termini di concausa, per quanto riguarda “la non congruità delle protesi removibili parziali provvisorie e definitive le quali hanno provocato un aggravamento della malattia paradontale già esistente e un disagio all’attore al quale va riconosciuto una inabilità totale e parziale, seppur bilanciata dal comportamento negativo di trascuratezza dell’attore stesso che non è prontamente intervenuto per salvaguardare la sua salute buccale recandosi celermente da altro specialista”

A seguito dei chiarimenti richiesti, il CTU ha specificato che “ la patologia del paziente non era quindi tale da richiedere l’intervento di avulsione di elementi dentali, bensì doveva essere trattato con degli step di curettage e detrartage al fine di tentare il mantenimento degli elementi naturali. I trattamenti di cui il CTU parla sono da prendere in considerazione come trattamento di elezione (con priorità) rispetto all’avulsione di elementi dentali naturali, sono finalizzati alla cura della paradontite e sono raccomandati dalle linee guida ministeriali…(..)….  i convenuti, seguendo i protocolli ministeriali, invece di estrarre elementi dentali ancora recuperabili, avrebbero dovuto sottoporre l’attore ad una terapia meccanica (dettrattage e curettage) volta a ripristinare una corretta igiene orale che si sarebbe dovuta poi mantenere con periodiche visite di controllo e sedute di igiene orale di almeno sei mesi. “

Il consulente, inoltre, ha valorizzato l’assenza di un valido consenso informato relativo alle pratiche mediche sottoscritto dal paziente e la non corretta tenuta della cartella clinica.).

Il danno biologico subito dall’attore viene stimato nella misura del 4,25%. Sebbene il CTU abbia rilevato una condotta concorrente dell’attore (sebbene in buona fede) per “non aver prontamente fatto ricorso ad altri sanitari”, il Giudice ritiene che tale condotta non abbia rilevanza ai fini del danno riscontrato.

Il Consulente ha infatti affermato che la percentuale del 4,25 è connessa “all’avulsione dei tre elementi dentali (n. 21,23,43) effettuata e che….non esiste la possibilità di reintegrare le funzioni dei tessuti del ligamento paradontale (perduto a seguito di avulsione dentaria), donde la funzione propriocettiva degli elementi dentari è da considerarsi completamente perduta e non emendabili protesicamente”.

Viene liquidata la somma di euro 5.480,40 all’attualità, comprensiva di una maggiorazione del 20% sulla somma di euro 4.567,00 ottenuta moltiplicando il coefficiente relativo all’età al momento dell’intervento lesivo (50 anni) per la misura percentuale di invalidità (4,25%) riconosciuta. Tale incremento di personalizzazione, evidenzia il Giudice, risiede nella peculiare natura dei disagi conseguenti alla lesione permanente, come descritti dal CTU (difetto di masticazione, avulsione ingiustificata, impossibilità di cure future).

A titolo di danno patrimoniale viene riconosciuta solo la somma, documentalmente provata per € 1.000,00, corrisposta a mezzo di assegni bancari.

OSSERVAZIONI

Il paziente non ha domandato il ristoro del danno da omesso consenso informato. L’assenza di un valido consenso informato è stata evidenziata anche dal CTU. Tuttavia, non può seguire il riconoscimento del relativo ristoro per il veto di ultra petita.

Molto interessante, a parere di chi scrive, il passaggio che il Giudice ha dedicato alla tenuta corretta della cartella clinica.

Sul punto viene richiamato l’orientamento di legittimità (ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 26.01.2010, n. 1538), secondo cui  le omissioni nella tenuta della cartella clinica rilevano sia ai fini dell’inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in relazione alla previsione generale dell’art. 1176, secondo comma, c.c., sia come possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché l’imperfetta compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno nei confronti del paziente che ha diritto di ricevere una corretta prestazione sanitaria.

Avv. Emanuela Foligno

Sei vittima di errore medico o infezione ospedaliera? Hai subito un grave danno fisico o la perdita di un familiare? Clicca qui o chiamaci al 800 332 771

Leggi anche:

Profonda necrosi con macerazione cutanea

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui