Una tragedia che si poteva evitare: la morte di due animatori avvenuta in Egitto era prevedibile. Il giudizio aveva fatto emergere come elementi determinanti del sinistro mortale le condizioni di stanchezza accumulata, l’orario notturno e lo stato dei luoghi, nonché la carente organizzazione dell’escursione

Il giudice del lavoro del Tribunale di Bologna aveva accolto la domanda proposta iure proprio dai prossimi congiunti di due giovani, deceduti nell’infortunio sul lavoro avvenuto la mattina di Capodanno del 2006 in Egitto, in area desertica non distante da Sharm el-Sheikh, mentre svolgevano la loro attività di animatori turistici.

I fatti erano stati così ricostruiti:

il giorno 31 dicembre 2005, gli animatori, dopo aver prestato regolarmente la propria attività all’interno di un villaggio, dalle ore 9:00 alle ore 12:30 e poi, dalle ore 14:30 alle ore 16:30, si erano dedicati, a partire dalle ore 18:00 circa, alla preparazione dello spettacolo serale; il loro lavoro era proseguito ancora con l’animazione del cenone e con il successivo spettacolo fino alle ore 1:30 circa; successivamente il programma per i turisti della società tour operator (datrice di lavoro) prevedeva discoteca e “motorata” nel deserto; su disposizione dei coordinatori, gli animatori avevano accompagnato i turisti in discoteca e quindi, dopo un tragitto in autobus, alla “motorata”.

Nel deserto ai due animatori era stato dato il compito di sorvegliare la carovana e, da un certo punto in poi, di posizionarsi in coda per controllare che nessuno deviasse dal percorso stabilito; la “motorata”, con inizio alle 4:00 del mattino e termine oltre le 8:00 si caratterizzava come un’attività richiedente estrema concentrazione e attenzione, sia per la conduzione stessa dei mezzi, sia per la posizione di controllo che i due animatori avevano rispetto ai turisti accompagnati, sia ancora per l’intrinseca pericolosità dell’attraversamento di strade percorse dal traffico veicolare. Ed invero, in tale circostanza si verificava lo scontro mortale che portava al loro decesso.

La pronuncia della Corte d’appello

La corte d’appello di Bologna confermava la decisione di primo grado, ravvisando la responsabilità ex art. 2087 c.c., del tour operator, nelle “modalità organizzative, da ritenersi carenti, essendo state previste solo due guide egiziane a fronte di un numero elevato di partecipanti e avuto riguardo alla situazione concreta, ossia al turno notturno in deserto, percorso da strade non conosciute ad alta densità di traffico pesante, in condizioni di lavoro non rispettose degli obblighi di protezione dell’incolumità dei dipendenti, considerando anche la verosimile stanchezza fisica degli stessi per le attività lavorative pregresse”.

La società di tour operator operava in rapporto di sinergia e collaborazione con la società di animazione.

Quest’ultima si occupava della selezione, del reclutamento e dell’assegnazione dei ragazzi alle diverse destinazioni, mentre la prima fruiva direttamente delle prestazioni degli animatori per i propri scopi imprenditoriali.

A ben vedere, per i giudici dell’appello, la società convenuta assumeva, in relazione agli obblighi di cui all’art. 2087 c.c., una posizione simile a quella configurabile in un rapporto di appalto, soprattutto alla luce dell’accertato esercizio di fatto di un potere di direzione sugli animatori.

Nessuna condotta avente il carattere dell’abnormità poteva, invece, dirsi ascrivibile ai due animatori essendo “al contrario emersi quali elementi determinanti del sinistro mortale le loro condizioni di estrema stanchezza e la circostanza decisiva di trovarsi posizionati, conformemente alle istruzioni ricevute, in coda alla carovana, al momento dell’attraversamento dell’autostrada”.

I due animatori avevano preso parte alla “motorata” e si trovavano in coda alla carovana per “chiuderla” in ciò con la consapevolezza da parte della società, decisiva ai fini della mancata adozione delle cautele, che i due avessero “accumulato ben quattordici ore di lavoro consecutive, dalle ore 18:00 del 31 dicembre, per tutta la notte sino alle ore 800 circa della mattina successiva, momento dello scontro”.

Il giudizio di legittimità

Nel confermare la pronuncia impugnata, la Sezione Lavoro della Cassazione (sentenza n. 26614/2019) ha ribadito il principio di diritto più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “ai sensi degli artt. 2087 c.c. e 7 del d.lgs. n. 626/1994 che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, il committente, nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, e che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata”.

Ebbene, nella fattispecie in esame era emerso che la ricorrente si fosse resa garante della vigilanza relativa alle misure di sicurezza da adottare in concreto, essendosi riservata i poteri tecnico-organizzativi del servizio turistico da eseguire.

La responsabilità del datore di lavoro

Per quanto attiene agli elementi costituitivi della responsabilità per la morte del lavoratore, il requisito soggettivo della colpa è integrato dalla violazione, da parte del datore di lavoro, delle regole cautelari di prevenzione evocate dall’art. 2087 c.c., strettamente correlate, in termini di ragionevole prevedibilità, alla verificazione dell’evento in quanto fondate, se non sulla certezza scientifica, sulla probabilità o possibilità – concreta e non ipotetica – che la condotta considerata determini l’evento.

Nel caso in esame, come giustamente dedotto dalla corte di merito, l’evento era prevedibile in considerazione delle modalità organizzative da ritenersi carenti e non adeguatamente calibrate alle condizioni tempo e di luogo, avuto riguardo alla situazione concreta, ossia al turno notturno nel deserto su percorso costituito dal strade non conosciute e ad alta densità di traffico pensante, in condizioni di lavoro non rispettose degli obblighi di protezione dell’incolumità dei dipendenti e in assenza di condotta abnorme imputabile al lavoratore. Anzi il giudizio aveva fatto emergere come elementi determinanti del sinistro mortale le condizioni di stanchezza accumulata, l’orario notturno e lo stato dei luoghi nonché la carente organizzazione dell’escursione.

Il risarcimento del danno iure proprio

Quanto al risarcimento del danno, la Corte di Cassazione ha affermato che non spettava ai congiunti delle due giovani vittime provare di aver sofferto per la morte dei rispettivi figli e fratelli, ma sarebbe stato onere di parte convenuta provare che, nonostante il rapporto di parentela, fosse insussistente un legame affettivo. Nel caso in esame, tale prova non era stata in alcun modo offerta, ed invero neppure allegata.

I giudici Ermellini hanno anche chiarito che la liquidazione del danno morale iure proprio sofferto per il decesso di un familiare causato del fatto illecito altrui (nella specie, per sinistro stradale) sfugge necessariamente ad una previa valutazione analitica e resta affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito, come tali non sindacabili in sede di legittimità.

In definitiva, il ricorso è stato rigettato con conseguente condanna della società convenuta al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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