In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio o di rinuncia a questa, il dipendente pubblico in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro (art. 2. n. 476 del 1984)

Un dipendente comunale, ammesso a partecipare ad un dottorato di ricerca (per il quale non era prevista borsa di studio) presso il Politecnico di Torino, aveva chiesto all’ente datore di lavoro l’aspettativa retribuita ai sensi della L. n. 476 del 1984, art. 2, e la domanda era stata accolta con nota del 20 febbraio 2006, nella quale era stato precisato che l’aspettativa doveva ritenersi riferita a “tutto il periodo del dottorato“.

Il regolamento del Politecnico prevedeva, tuttavia, che potesse essere concessa la proroga di un anno per il completamento dell’attività didattica e di formazione, proroga che nella specie era stata disposta fino al 31 dicembre 2009 dal competente Collegio dei Docenti.

Senonché il Comune datore di lavoro gli aveva negato il riconoscimento del beneficio citato per tutto il periodo di proroga.

Indi il ricorso al giudice civile.

Concluso il processo di primo grado, la Corte d’Appello di Torino aveva confermato la condanna già emessa a carico del Comune, obbligato a riconoscere i benefici previsti dalla L. n. 476 del 1984, art. 2 anche in relazione all’anno di proroga del dottorato di ricerca; al pagamento delle retribuzioni non corrisposte da settembre 2009 a gennaio 2010; al riconoscimento a fini economici, giuridici e previdenziali dell’intero anno 2009; alla restituzione degli importi che il Comune aveva decurtato dal trattamento stipendiale, sul presupposto che le stesse non fossero dovute.

La Corte territoriale ha evidenziato che la disciplina normativa prevede la conservazione del trattamento economico, previdenziale e di quiescenza per l’intero periodo di durata del corso, che nella specie doveva essere ritenuto quadriennale e non triennale, in quanto, da un lato, la possibilità della proroga era contemplata fin dall’origine dal regolamento dell’ateneo, dall’altro l’aspettativa era stata riconosciuta fino al conseguimento del dottorato. Pertanto, doveva ritenersi illegittima la condotta dell’amministrazione, la quale aveva escluso che per l’anno di proroga potessero essere riconosciuti i benefici previsti dalla legge ed aveva anche sanzionato il lavoratore, ritenendo ingiustificata l’assenza protrattasi dal 1 gennaio al 7 giugno 2009.

Il ricorso per Cassazione

Per la Cassazione della predetta sentenza di condanna presentava ricorso il Comune del capoluogo piemontese.

Tra gli altri motivi l’ente ricorrente contestava la violazione della L. n. 476 del 1984, art. 2, evidenziando che tale norma di favore, per la sua specialità, non poteva essere applicata se non nei limiti previsti dal legislatore che, appunto, ha fatto riferimento alla sola durata del corso, nella quale non può essere ricompresa la proroga; quest’ultima, al contrario, richiede un provvedimento individuale rimesso alla discrezionalità del collegio dei docenti.

E aggiungeva che il ritardo nel quale incorre il dottorando non può essere accollato all’ente datore di lavoro, perché ciò determina una distrazione di risorse che vengono destinate non più ad un fine pubblico bensì a soddisfare esigenze meramente individuali, senza che l’erogazione trovi giustificazione nel diritto allo studio.

Non soltanto. Ma a detta del ricorrente lo spirare del termine finale del dottorato aveva fatto sorgere in capo al dipendente l’obbligo di riprendere tempestivamente servizio e, pertanto, l’assenza protrattasi dal 1 gennaio 2009 alla data di concessione dell’aspettativa non retribuita doveva essere ritenuta ingiustificata.

Il giudizio della Cassazione

La Corte di Cassazione ha già escluso che il dipendente pubblico, ammesso a corso di dottorato senza borsa di studio, possa pretendere, L. n. 476 del 1984, ex art. 2, come modificato dalla L. n. 448 del 2001, art. 1, comma 57, di conservare il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza anche per il periodo di proroga del dottorato e ha evidenziato che “l’applicazione del canone esegetico del tenore testuale della disposizione (art. 12 preleggi) consente di ritenere spettante il trattamento economico solo “per il periodo di durata del corso””. Al tempo stesso, ha aggiunto che “la chiara intenzione perseguita dal legislatore è quella del bilanciamento tra diritto di studio del dipendente e l’interesse dell’Amministrazione (che eroga la retribuzione pur non fruendo della prestazione lavorativa) che trova un corretto contemperamento nella prevista prevedibilità (in base ai diversi ordinamenti universitari) della durata dell’assenza del dipendente stesso, a prescindere dalla ricorrenza di sue specifiche esigenze personali” (Cass. 3 maggio 2017 n. 10695).

A detta del Supremo Collegio, insomma, la Corte territoriale avrebbe fatto una ricostruzione non corretta del quadro normativo in questione.

Il quadro normativo

La L. n. 476 del 1984, art. 2, nel testo originario, si limitava a prevedere che “il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste”.

La norma è stata modificata dalla L. n. 448 del 2001, art. 52, comma 57, che ha inserito, nel comma 1 del citato art. 2, due nuovi periodi, prevedendo che “in caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica cessi per volontà del dipendente nei due anni successivi, è dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo”.
Sulla disposizione il legislatore è nuovamente intervenuto con la L. n. 240 del 2010, art. 19, comma 3, che ha inserito al primo periodo, dopo le parole “è collocato a domanda” l’inciso “compatibilmente con le esigenze dell’amministrazione”.

Solo a partire dal 2 gennaio 2011, data di entrata in vigore della L. n. 240/2010, è stato consentito alle amministrazioni di valutare la domanda di congedo inoltrata dal dipendente ammesso alla frequenza di corsi di dottorato ed eventualmente di respingerla, valorizzando le esigenze organizzative proprie dell’ente. Prima di detta data, invece, la norma attribuiva al dipendente un diritto soggettivo alla fruizione del congedo, sicché la Pubblica Amministrazione non poteva che prendere atto della richiesta, essendo tenuta per legge ad assicurare il trattamento economico, giuridico e previdenziale che il legislatore aveva inteso riconoscere all’ammesso alla frequenza di corsi di dottorato.

La modifica normativa non è, tuttavia, applicabile alla fattispecie in esame, nella quale, pacificamente, la domanda è stata inoltrata nell’anno 2006, sicché la Corte territoriale ha errato nell’affermare che l’amministrazione avrebbe potuto respingere la richiesta e che, non avendolo fatto, aveva acconsentito a riconoscere il trattamento economico per l’intero periodo del corso, ivi compreso l’anno di proroga, previsto dal regolamento di ateneo.

Sulla base di siffatte considerazioni, tutti i motivi di ricorso del Comune meritavano di essere accolti.

La redazione giuridica

 

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