L’avente diritto può reclamare al datore di lavoro gli assegni per il nucleo familiare dal momento in cui il diritto è sorto (Tribunale di Venezia, Sez. Lavoro, Sentenza n. 572/2021 del 06/10/2021 RG n. 2120/2020)
Il ricorrente lamenta la mancata corresponsione degli “assegni per il nucleo familiare” a partire dal marzo 2013, allorquando il figlio, portatore sin dalla nascita di “insufficienza mentale grave” oltre che di handicap fisici, è divenuto maggiorenne.
Il ricorrente chiede la condanna dell’Ente convenuto al pagamento degli arretrati maturati, conteggiati in virtù dell’importo mensile spettante per l’Assegno per Nucleo Familiare dal 2013 al 2018.
La domanda attorea è fondata.
L’Istituto ha rigettato la domanda del ricorrente di corresponsione dell’ANF per il figlio Riccardo, rilevando che la richiesta è stata presentata molto in ritardo, solo nel febbraio 2018, e che in ogni caso non era stata fornita la prova in ordine alla sussistenza del requisito indispensabile per l’erogazione del beneficio.
L’assegno per il nucleo familiare “è stato istituito dall’art. 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, che ha soppresso gli assegni familiari ed ogni altro trattamento di famiglia comunque denominato, istituendo, in presenza delle condizioni previste dal medesimo articolo, la provvidenza in parola”.
Al comma 2, la norma prevede che: “L’assegno compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, secondo la tabella allegata”. Ed al comma 6 che: “Del nucleo familiare possono far parte, alle stesse condizioni previste per i figli ed equiparati, anche i fratelli, le sorelle ed i nipoti di età inferiore a 18 anni compiuti, ovvero senza limiti di età, qualora si trovino, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro”.
Risulta che il ricorrente ha interpellato più volte i possibili organi ed enti preposti, ed in particolare la Commissione Medica, l’INPS e il MEF, ricevendo risposte alquanto evasive e giungendo alla conclusione che la documentazione fornita dall’interessato non fosse sufficiente a comprovare l’assoluta e permanente impossibilità di Riccardo di dedicarsi a proficuo lavoro.
Così però non è, perché il figlio del ricorrente era già stato valutato invalido civile al 100 % con permanente e totale inabilità lavorativa dalla competente Commissione medica.
Se è vero che il giudizio espresso dalla Commissione medica nel 2014 e nel 2017 è stato reso ai fini della legge n. 118/71 per l’attribuzione della pensione di inabilità, sotto il profilo medico il soggetto, riconosciuto dall’unica Commissione competente inabile totale al lavoro, è certamente nella totale e assoluta impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro, posto che la Commissione Medica ha accertato un’insufficienza mentale grave e un grave deficit fisico.
In altri termini, l’accertamento della Commissione relativo alla totale e permanente invalidità di Riccardo conferma che lo stesso è nell'”impossibilità assoluta e permanente di dedicarsi a proficuo lavoro”.
Conseguentemente, il ricorrente ha diritto al pagamento dal proprio datore di lavoro degli arretrati degli assegni per il nucleo familiare maturati dal 2013 al 2018, richiesti nel febbraio 2018, e quindi entro il termine di maturazione della prescrizione quinquennale.
La domanda degli assegni per il nucleo familiare nei confronti del datore di lavoro può essere posta anche successivamente al momento in cui è sorto il diritto alla corresponsione, purché entro il termine di prescrizione.
Invece, nei confronti dell’Inps la necessità della domanda amministrativa risponde all’esigenza di natura pubblicistica di attribuire uno spatium deliberandi all’Ente, per cui il diritto alla prestazione non sorge se non a seguito della domanda dell’interessato.
Analogo principio non è rinvenibile nei confronti del datore di lavoro privato, per cui l’avente diritto può reclamare gli emolumenti dal momento in cui il diritto è sorto e il ricorrente ha diritto agli arretrati dell’ANF.
Sulle spese di lite evidenzia il Giudice che, la condotta extragiudiziale dell’Ente convenuto, che in ogni modo ha sollecitato l’INPS e gli organi competenti, per ottenere un’informazione chiara, giustifica la parziale compensazione.
La parte convenuta, pertanto, viene condannata a corrispondere al ricorrente la somma di euro 10.427,49, oltre accessori di legge dalla maturazione dei titoli al saldo, e al pagamento delle spese di lite nella misura della metà per euro 1.800,00.
Avv. Emanuela Foligno
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