L’uomo ultracinquantenne, e con un proprio nucleo familiare, per la terza volta cita a giudizio i genitori chiedendo l’aumento dell’assegno alimentare mensile.
La Corte di Cassazione, con la decisione a commento, torna sulla natura e le finalità dell’assegno di mantenimento e dell’assegno alimentare nel caso particolare di figlio maggiorenne portatore di handicap (Cassazione Civile, sez. I, 29 gennaio 2024, n. 2710).
La vicenda
L’uomo (di oltre 50 anni di età, sposato e con figli) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma i genitori per vedere accertato e dichiarato il suo stato di bisogno e la sua impossibilità di provvedere al proprio mantenimento, allo scopo di ottenere a titolo di alimenti la somma mensile di €1.200, poiché non sufficiente l’importo di €700 versato dai genitori spontaneamente.
I genitori invocavano l’inammissibilità delle domande, in quanto già respinte con decreto n. 9345/2006 e con sentenza n. 21407/2013; nel merito chiedevano il rigetto della domanda e la condanna per lite temeraria; in via riconvenzionale, chiedevano che fosse dichiarato non dovuto, da parte loro, alcun contributo poiché il figlio aveva dichiarato nei precedenti giudizi di lavorare saltuariamente. Inoltre era stato confermato l’importo già dagli stessi versato, considerato che gli avevano messo a disposizione la casa e provvedevano a pagare le utenze (e altro).
Il Tribunale di Roma, con sentenza n.1647/2020, rigettava le domande dell’uomo; accoglieva la domanda riconvenzionale dei genitori e confermava in €700 mensili la somma dovuta al figlio a titolo di alimenti, dichiarando compensate per metà, tra le parti, le spese del giudizio. La Corte di Appello, confermava tale decisione.
L’uomo si rivolge in Cassazione
Censura la statuizione con cui la Corte di Appello ha affermato che “deve ritenersi che l’importo dell’assegno alimentare riconosciuto dal Tribunale sia del tutto adeguato a sopperire alle esigenze personali di vita, in ragione dell’assenza di spese abitative (delle quali si fanno carico già da tempo i genitori) e della percezione della pensione di invalidità; esso non appare eccessivo, tenuto conto della perdita del potere d’acquisto subito nel tempo dall’importo continuativamente versato dai genitori e delle disponibilità economiche di questi ultimi”.
Nello specifico si duole che la Corte di merito non abbia tenuto conto dell’irrisorietà della pensione di invalidità percepita, ammontante ad €299 e deduce l’insufficienza del complessivo importo mensile di €1.000 a garantire una vita dignitosa a lui ed alla sua famiglia. Afferma che il proprio nucleo familiare è composto dalla moglie, priva di occupazione e affetta da stato ansioso depressivo e gastrite recidivante, e dal figlio, soggetto con problemi di disturbo dell’umore, ovvero depressione a marcata componente ansiosa e ossessivo fobica. Riferisce di essere affetto lui stesso da disturbo bipolare di tipo I, diagnosticatogli all’età di venti anni, con diversi ricoveri ospedalieri in regime di T.S.O., in ragione del quale gli è stata riconosciuta la inabilità al lavoro al 100% e la pensione di invalidità. Invoca l’applicazione del principio secondo il quale la posizione dei figli maggiorenni portatori di handicap grave è equiparata a quella dei figli minori ex art. 337-septies c.c.
La doglianza è inammissibile perché non considera la complessiva ratio decidendi del Giudice di merito.
I Giudici di merito hanno affermato che il presupposto per il riconoscimento del diritto agli alimenti è lo stato di bisogno del beneficiario che si realizza quando questi non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento (art. 438 c.c.). La “misura” degli alimenti deve essere determinata in proporzione dello stato di bisogno del richiedente e delle condizioni economiche dell’onerato, dovendo essere la loro misura circoscritta a quanto necessario per la vita dell’alimentando (art. 438 c.c.).
Ciò pacifico, in mancanza di coniuge e figli, i genitori sono tenuti all’obbligo di prestare alimenti a favore dei figli. Il ricorrente non tiene in considerazione la ratio della decisione che ha riconosciuto gli alimenti in suo favore escludendo di dovere considerare le esigenze della sua famiglia, moglie e del figlio maggiorenne, precisando che gli stessi avrebbero dovuto autonomamente agire secondo le loro proprie legittimazioni rispetto ai loro obbligati, secondo l’ordine previsto dall’art.433 c.c. e, in relazione a questa perimetrazione della domanda, ha proceduto alla comparazione delle condizioni economiche, con motivazione sufficiente e corretta.
Il mantenimento del figlio maggiorenne handicappato
Quanto alla prospettazione di un titolo al mantenimento in qualità di figlio maggiorenne handicappato, viene osservato che la questione è di nuova introduzione in quanto non assistita dalla dovuta specificità; non è stata articolata come violazione di legge – atteso che il motivo è svolto come omessa motivazione – e sembra indirizzata a sollecitare una maggiore quantificazione dell’assegno rispetto all’importo riconosciuto, inammissibile in Cassazione. Tale ultimo punto, inoltre, configura un ampliamento della domanda originaria, che è parimenti inammissibile.
Assegno alimentare e assegno di mantenimento
La S.C. rigetta il ricorso e prende lo spunto per ribadire la diversa natura dei benefici richiesti dal ricorrente. L’assegno alimentare non può essere equiparato all’assegno di mantenimento per i figli, essendo diverse sia la natura e sia le finalità proprie dei due tipi di assegno. Difatti, l’assegno di mantenimento può comprendere anche la quota alimentare e non presuppone necessariamente lo stato di bisogno, su cui il ricorrente ampiamente ha insistito, dimostrando di avere qualificato la domanda originaria proprio come domanda per alimenti, così come correttamente ritenuto dai Giudici di merito in primo e secondo grado.
In ogni caso, la domanda di assegno alimentare costituisce, comunque, un minus rispetto alla domanda di riconoscimento di un assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne portatore di handicap grave e richiede la ricorrenza di un più stringente presupposto, costituito dallo stato di bisogno. Conseguentemente, la domanda di mantenimento, ove venga formulata per la prima volta in appello in un giudizio alimentare promosso ex art.433 c.c., diversamente che nel caso inverso, è inammissibile e va qualificata come domanda nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c., atteso che la diversa natura degli interessi ad essa sottesi comporterebbe un ampliamento della materia incompatibile con il rispetto dei principi del contraddittorio, del diritto di difesa e del giusto processo.
Avv. Emanuela Foligno