Anche la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità soggiace alla generale previsione dell’aumento dell’età pensionabile derivante dall’incremento della speranza di vita, di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 22-ter, comma 2

La vicenda

La Corte d’appello di Cagliari aveva condannato l’INPS a corrispondere all’interessato la pensione di vecchiaia anticipata con decorrenza dal 1.2.2015, invece che dalla data del 1.5.2015 – riconosciutagli dall’Istituto in sede amministrativa -, in applicazione del differimento trimestrale legato all’aumento delle aspettative di vita.

Per la cassazione della sentenza l’INPS ha proposto ricorso, denunciando la violazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 22-ter, comma 2, (conv. con L. n. 102 del 2009), e del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, commi 12-bis e 12-quater, (conv. con L. n. 122 del 2010), nonché la falsa applicazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 2.

A detta dell’Istituto l’errore commesso dalla Corte di merito sarebbe stato quello di aver ritenuto che il posticipo dell’accesso alla pensione per motivi legati all’incremento della speranza di vita non riguardasse tutti coloro che accedono alla pensione in età inferiore a 65 anni (se uomini) o 60 (se donne), ma soltanto coloro che conseguano la pensione di anzianità in virtù di requisiti indipendenti dall’età anagrafica – non riscontrabili nel caso di specie -, oppure coloro che fossero assoggettati alla disciplina del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12-bis, (conv. con L. n. 122 del 2010), tra i quali non poteva rientrare l’assicurato, in considerazione della sua condizione di invalido all’80%.

L’adeguamento della pensione all’incremento della speranza di vita

Il D.L. n. 78 del 2009, art. 22-ter, comma 2, (conv. con L. n. 102 del 2009), ha previsto che, a decorrere dal 1.1.2015, l’età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico fosse adeguata all’incremento della speranza di vita, per come accertato dall’Istituto nazionale di statistica e validato dall’Eurostat, con riferimento al quinquennio precedente.

Per i giudici della Suprema Corte (Sezione Lavoro, sentenza n. 31001/2019) il tenore letterale della disposizione, che si riferisce testualmente ai “requisiti di età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico italiano“, paleserebbe l’intenzione del legislatore di dettare una disciplina valevole per tutti i casi in cui il conseguimento di una pensione a carico del sistema di previdenza pubblica sia ancorato al raggiungimento di una qualche età anagrafica: più precisamente, di assoggettare tutte le provvidenze pensionistiche che possono essere conseguite al raggiungimento di una certa soglia d’età alla periodica revisione di codesta soglia in dipendenza dell’incremento della speranza di vita, per come accertato dall’Istituto nazionale di statistica e validato dall’Eurostat con riferimento al quinquennio precedente.

Il quinquennio previsto per la periodica verifica degli incrementi della speranza di vita è stato, poi, oggetto di modifica, dapprima dal D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 12-bis, (conv. con L. n. 122 del 2010), il quale, nel demandare l’aggiornamento ad un decreto direttoriale del Ministero dell’economia e delle finanze di concerto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha altresì previsto che esso avvenisse con cadenza triennale, e poi dal D.L. n. 201 del 2011, art. 24, comma 13, (conv. con L. n. 214 del 2011), che ha disposto l’aggiornamento con cadenza biennale. Ed infine, il Decreto 6 dicembre 2011, art. 1, comma 1, pubblicato in G.U. 13.12.2011, n. 289, ha disposto che a partire dal 1.1.2013, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 12, commi 12-bis e 12-quater, fossero incrementati di tre mesi.

L’assunto .. errato della Corte d’Appello

Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva avallato l’assunto del richiedente ritenendo che la pensione di vecchiaia anticipata per motivi d’invalidità non costituisse un trattamento incluso nel novero dei trattamenti pensionistici soggetti all’aumento dell’età anagrafica in conseguenza dell’incremento della speranza di vita.

Ed invero, tale ragionamento contrasta con l’ art. 12, comma 12-quater del D.L. n. 78 del 2010 il quale ha previsto testualmente che “in base agli stessi criteri di adeguamento indicati ai commi 12-bis e 12-ter e nell’ambito del decreto direttoriale di cui al comma 12-bis, anche (…) agli altri regimi e alle gestioni pensionistiche per cui siano previsti, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, requisiti diversi da quelli vigenti nell’assicurazione generale obbligatoria (…) è applicato l’adeguamento dei requisiti”, con l’unica eccezione dei “lavoratori per i quali viene meno il titolo abilitante allo svolgimento della specifica attività lavorativa per il raggiungimento di tale limite di età“.

La decisione

«Tale disposizione – hanno affermato gli Ermellini -, nel generalizzare il meccanismo di adeguamento dell’età anagrafica all’incremento della speranza di vita a tutti i regimi e gestioni pensionistiche che possiedano requisiti diversi da quelli vigenti nell’a.g.o., non può che riguardare anche i requisiti anagrafici dell’accesso alla pensione di vecchiaia anticipata a causa d’invalidità, essendo quest’ultima nient’altro che una anticipazione dei normali tempi di perfezionamento del diritto alla pensione attuata attraverso un’integrazione ex lege del rapporto assicurativo e contributivo, che consente, in presenza di una situazione di invalidità, una deroga ai limiti di età per il normale pensionamento».

Attualmente, manca una qualsiasi base normativa per sostenere quanto affermato dalla Corte d’Appello e cioè che il conseguimento della pensione di vecchiaia anticipata per invalidità non debba soggiacere alla generale previsione dell’aumento dell’età pensionabile in dipendenza dell’incremento della speranza di vita di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 22-ter, comma 2, “posto che si tratta comunque di un trattamento diretto di vecchiaia, cioè diretto a coprire i rischi derivanti dalla vecchiaia e dunque ontologicamente diverso dai trattamenti diretti di invalidità previsti dalla L. n. 222 del 1984”.

Per tutte queste ragioni, la pronuncia della Corte d’Appello è stata cassata e la causa decisa nel merito con il rigetto della domanda del richiedente.

La redazione giuridica

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