Secondo uno specifico disegno di legge, la autocertificazione medica potrebbe diventare realtà e attestare i primi tre giorni di malattia

La possibilità della autocertificazione medica per i primi tre giorni di malattia potrebbe diventare effettiva. La novità è stata introdotta dal disegno di legge – che prima di fine legislatura dovrà passare all’esame delle commissioni sanità, bilancio, industria ed essere votato anche alla Camera – presentato da Maurizio Romani, senatore dell’Italia dei Valori e vicepresidente della Commissione Sanità e attribuisce fondamentalmente “esclusiva responsabilità” al lavoratore che dichiari un disturbo invalidante che gli impedisca di recarsi al lavoro.
Il lavoratore dovrebbe quindi comunicare al proprio medico di famiglia il proprio stato di salute e il dottore provvederebbe ad inoltrare comunicazione telematica all’Inps e al datore di lavoro. Insomma, la differenza rispetto alle altre certificazioni di malattia sarebbe sostanziale.
“Il medico trasmette ma non certifica – spiega Romani – fa solo da postino dell’autodichiarazione (questa è più che una autocertificazione) del paziente. Sarebbe stato ottimale che lo facesse direttamente il paziente ma non è stato possibile”.
Questo in quanto l’Inps processa solo certificati telematici e le credenziali sono in possesso dei medici che, in questo caso, farebbero da operatori.
L’autocertificazione medica potrebbe quindi diventare presto realtà, specie con uno sviluppo delle procedure informatiche che potrebbero velocizzare le operazioni di trasmissione dati.
“È auspicabile – prosegue Romani – che lo sviluppo dell’informatizzazione possa presto consentire l’autocertificazione diretta”.
Ma da dove nasce l’idea dell’autocertificazione medica?
La proposta, per Romani, non nasce tanto per alleviare il medico, quanto per responsabilizzare il paziente. “Un conto, anche per il medico fiscale, è dover contestare la certificazione redatta dal collega curante, un conto discutere di un’autodichiarazione di chi magari è un habitué delle assenze programmate, magari in un contesto dove si svolgono lavori usuranti o di particolare responsabilità (ad esempio, gli autisti)”, afferma il senatore.
Inoltre, “quando il paziente comunica al medico di non poter andare a lavorare per una patologia come il mal di testa – prosegue il senatore Romani – questa non è facile oggetto di diagnosi o prognosi neanche se il paziente si reca in studio. È giusto che il paziente si prenda la responsabilità di ciò che viene attestato”.
Il disegno di legge incide però anche sulla legge Brunetta 165/2001 per quanto riguarda le pene ai medici. Tale legge afferma che, una volta dimostrata la falsa attestazione di malattia, per il medico c’è la decadenza dalla convenzione o il licenziamento se dipendente Ssn e la radiazione dall’Albo medici.
Secondo il disegno di legge Romani, invece, “la falsa attestazione dello stato di malattia da parte del medico è sanzionata disciplinarmente dall’Omceo o dall’Asl”.
“C’è l’apertura verso pene minori – ha dichiarato Romani – anche perché la previsione della legge Brunetta (art 55 quinquies comma 3) secondo cui le sanzioni disciplinari seguono alla sentenza definitiva di condanna non appare coerente con l’articolo 4, comma 1, del protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo il quale sancisce che nessuno può essere ri-perseguito (e condannato) per un reato per cui è già stato destinatario di una sentenza definitiva”.
Quali gli scenari per i medici nel caso in cui passasse la legge che prevede la autocertificazione medica?
In caso di assenza inferiore ai 3 giorni dichiarata mediante autocertificazione medica dal paziente, il medico non è responsabile (se non per la trasmissione del dato) e non è perseguibile disciplinarmente e deontologicamente.
Per le assenze superiori a 3 giorni, si persegue esattamente come prima la falsa attestazione, la diagnosi e la prognosi a distanza. Ugualmente, per le assenze oltre i 3 giorni, le conseguenze sarebbero minori allorché il paziente attestasse una patologia difficile da documentare dal medico per poi venire beccato a fare un secondo lavoro.
“Il medico – conclude Romani – ha un ulteriore svantaggio, può sapere se il paziente usa di frequente l’attestato di malattia ma può non cogliere, ad esempio, se si assenta i venerdì o i lunedì, cosa che Inps e datore di lavoro colgono, sicché quando il paziente è smascherato ne può andare di mezzo il medico».
Con la nuova legge queste circostanze non dovrebbero più verificarsi.
 
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