Un’azione intentata davanti al Giudice di pace di Augusta al fine di ottenere il risarcimento dei danni al veicolo subiti a seguito di un sinistro stradale
La domanda era stata rigettata sia in primo grado che in appello. Ciò in quanto del predetto incidente non vi era stata “alcuna rilevazione da parte delle autorità competenti e non era stato possibile esaminare i mezzi coinvolti in quanto non più disponibili”, fatta eccezione di alcuni fotogrammi versati in atti. In altre parole non era stato possibile ricostruire la dinamica dell’incidente.
Riteneva, infatti, il giudice di appello che il cd. “modello CAI” prodotto dal ricorrente non aveva alcuna “efficacia vincolante verso nessuna delle parti convenute”, ed in particolare che esso aveva generato una mera “presunzione semplice”, che, nella specie, era stata superata sulla base delle risultanze della CTU.
La dinamica dell’incidente
Secondo il ricorrente, il veicolo antagonista aveva invaso la sua corsia di marcia (opposta a quella in cui stava procedendo), andando a collidere con “con lo spigolo anteriore sinistro” della sua auto, tanto che in conseguenza del “violento urto ed anche a causa dell’abbondante pioggia che rendeva viscido il selciato” egli perdeva il controllo del mezzo, andando a sbattere, contro “un muretto presente alla sua destra” ove terminava la corsa.
Per effetto di tale sinistro, la sua auto aveva riportato “ingenti danni alla parte anteriore e alla fiancata laterale destra”, dei quali egli chiedeva il ristoro in giudizio.
Siffatta valutazione non era stata, però condivisa dal Tribunale, il quale – presa visione dei fotogrammi– aveva rilevato la totale assenza sulla vettura del ricorrente di “alcun danno significativo al paraurti anteriore, sul lato sinistro, se non qualche lievissima striatura, così come affermato dal CTU”, ciò escludeva in radice, l’asserito “scontro violento tra i veicoli”.
La questione giuridica
Si discute sul valore probatorio delle dichiarazioni contenute nel CAI redatto in seguito ad un incidente stradale. E sì perché tra la ricostruzione del fatto denunciato nel caso in esame, e quanto dichiarato nel cd. CID non vi era alcuna coincidenza.
Quale dei due allora, far prevalere in giudizio?
Esiste un principio di diritto secondo cui “in materia di responsabilità da sinistro stradale, ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d’incidente (cosiddetto C.I.D.) deve ritenersi preclusa dall’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio” .
Inoltre, è stata fatta salva – nella giurisprudenza di legittimità – la possibilità per il giudice adito di accertare “che la dichiarazione resa (…) nel modulo di contestazione amichevole di incidente” sia “incompatibile con la dinamica del sinistro“, e ciò proprio in base ad elementi come quelli valorizzati, sentenza impugnata, quali ad esempio, l’entità dei danni riportati dal veicolo dell’attore, la situazione dei luoghi, nonché la mancanza di un qualsivoglia danno a carico del conducente antagonista.
Ciò in quanto la verifica di tale “incompatibilità logica” secondo i giudici della Cassazione – “si pone come una sorta di momento antecedente rispetto all’esistenza ed alla valutazione della dichiarazione confessoria” contenuta nel “CID”, fermo restando che questa è comunque oggetto di libera valutazione nei confronti dell’assicuratore, ai sensi dell’art. 2733 c.c., comma 3, e della L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 23 (Sezioni Unite sentenza 5 maggio 2006, n. 10311).
In conclusione, le dichiarazioni contenute nel modulo di constatazione amichevole di incidente (cosiddetto modello CAI) non hanno alcun valore probatorio in caso di oggettiva ed accertata incompatibilità tra il fatto così come descritto in tale documento e le conseguenze dell’incidente così come verificate in giudizio.
La redazione giuridica
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