Dal DVR risulta il basso rischio lavorativo per quella mansione nell’anno di valutazione, ovvero che la probabilità è bassa o inesistente per quei lavoratori (Tribunale di Roma, Sez. II Lavoro, Sentenza n. 3193/2021 pubbl. il 02/04/2021 RG n. 12299/2019)

Una infermiera conviene a giudizio l’Inail onde vedersi riconosciuto il diritto all’indennizzo in capitale per invalidità lavorativa derivante dalla malattia professionale pari al 12% a seguito di domanda amministrativa del 21/03/18.

Si costituisce in giudizio l’Inail contestando la domanda e la sussistenza dei postumi permanenti nella misura richiesta.

La causa viene istruita con acquisizione delle produzioni documentali e CTU Medico-Legale, al cui esito la domanda viene ritenuta infondata.

Innanzitutto, il Tribunale evidenzia che è onere della parte interessata provare la sussistenza degli elementi costitutivi del diritto fatto valere.

La ricorrente ha proposto una domanda finalizzata al riconoscimento del diritto all’indennizzo in capitale per invalidità permanente pari al 12%, o comunque non inferiore al 6%, derivante da malattia professionale denunciata all’Inail in data 21/03/18, ma con esito negativo all’esito del procedimento amministrativo espletato.

La ricorrente ha fornito la prova, relativa all’oggetto, ai tempi ed alle modalità dell’attività lavorativa svolta, mentre l’Inail ha contestato il nesso causale tra la patologia denunciata e l’attività lavorativa svolta e l’entità dei postumi permanenti derivanti.

La CTU ha concluso che: “la ricorrente è affetta da spondilodiscopatia della colonna lombosacrale con sofferenza pre-gangliare delle ultime radici lombosacrali, in prevalenza L5 -S1 dx (strumentalmente accertata)” e che tale patologia non concretizza gli estremi della malattia professionale valutabile sotto il profilo medico – legale in quanto in sede di raccolta anamnestica ha riferito la perizianda di prestare attività lavorativa quale infermiera professionale dal 30/8/1989: per 4 anni al reparto di terapia intensiva neurochirurgica; successivamente, e fino al 2010, alla camera operatoria cardiochirurgica con mansioni di strumentista; dal 2010 a tutt’oggi presso il SINT (servizio immuno-ematologia trasfusionale). La stessa ha precisato che tutti reparti erano intensivi di prima linea e che nel reparto di terapia intensiva all’epoca non vi erano sollevatori ed i pazienti non autonomi venivano sollevati manualmente; inoltre nel reparto cardiochirurgia sollevava cestelli del peso di circa 10 Kg. 2. L’Inail in data 15/10/2019 precisava che “dalla disamina della documentazione agli atti e dalla raccolta anamnestica si rileva che l’assicurata lavora dal 1990 presso l’Azienda Sanitaria. Per circa tre anni è stata assegnata al reparto di terapia intensiva neurochirurgica e successivamente, fino al 2010, alla camera operatoria cardiochirurgica dove ha svolto mansione di strumentista. Dal 2010 lavora presso il SINT (servizio immuno ematologia trasfusionale). Dalle schede riassuntive delle attività svolte presso l’Azienda Sanitaria allegate al D.V.R. si evince che l’esposizione al rischio da sovraccarico biomeccanico rachide sia stato classificato come Medio fino al 1994, Basso -Moderato fino al 2005 e Assente, dal 2006. Non si ravvisa, pertanto, sia nell’ambito dell’attività di strumentista di camera operatoria che di infermiera presso il SINT che siano emersi elementi che consentono di ritenere che la Signora sia stata esposta a rischio MMC idoneo a causare la patologia denunciata …”.

Inoltre il CTU sottolinea che: “nel lungo periodo di attività quale infermiera c/o l’Ospedale è stata sottoposta annualmente a visita presso il medico competente che solo nel 2013 ha ritenuto di esonerarla dal sollevamento pesi di circa 5 Kg. Successivamente è stata fatta idonea senza prescrizioni. La situazione attuale documenta strumentalmente e clinicamente una sofferenza radicolare cronica moderata a carico delle radici L5 -S1 compatibile con l’età e non rapportabile ad una denunciata continuativa e significativa movimentazione manuale di carichi. Si sottolinea che in atti non è presente in atti il DVR citato dall’Inail nelle sue considerazioni”.

Peraltro, il CTP di parte ricorrente, nelle osservazioni critiche proposte all’elaborato peritale, afferma che “il DVR narra che nell’anno di valutazione si è riscontrato per quella tipologia di mansione” un basso rischio lavorativo, “ovvero che la probabilità che accada il danno è bassa o inesistente per quei lavoratori che svolgono la mansione”.

Il Giudice condivide integralmente le conclusioni della CTU e rigetta il ricorso della lavoratrice.

Le spese di lite e di CTU seguono la soccombenza e vengono poste a carico della ricorrente.

Le spese di CTU, separatamente liquidate, debbono essere poste definitivamente a carico della ricorrente.

Al riguardo il Tribunale evidenzia che “non appare ragionevole che i costi dell’attività istruttoria debbano ricadere sulla P.A., piuttosto che sul ricorrente, presumibilmente in grado di sostenerli, visto che non ha chiesto di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato e considerato il reddito dichiarato”.

Al riguardo la Suprema Corte (10286/2005), conferma l’interpretazione che non include nell’esonero le spese processuali anticipate dalla parte ai sensi dell’art.90 c.p.c., affermando: ” Invero, nelle controversie relative a prestazioni non solo previdenziali, ma anche assistenziali, la disciplina delle spese processuali, esonera il lavoratore subordinato soccombente soltanto dalla rifusione delle spese in favore dell’altra parte”.

In conclusione, il Tribunale, in qualità di Giudice del Lavoro, rigetta il ricorso della lavoratrice e la condanna al pagamento delle spese di lite per euro 1.400,00, oltre al pagamento delle spese di CTU Medico-Legale.

Avv. Emanuela Foligno

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