Buca ricoperta da sabbia e responsabilità del Comune (Cassazione civile, sez. III, 05/04/2023, n.9390).

Responsabilità del comune per la caduta dello scooter provocata da una buca ricoperta da sabbia.

Il proprietario-conducente dello scooter assumeva di avere  perduto il controllo del mezzo per la presenza di una buca ricoperta da sabbia riconducibile ad un cantiere per lavori stradali.

Il Comune convenuto deduceva l’inesistenza di qualunque lavoro stradale in corso di svolgimento nella data in cui si era verificato il sinistro. Successivamente il Comune  citava in giudizio le due società che si occupavano dei lavori stradali chiedendo l’accertamento della loro esclusiva o concorrente responsabilità in relazione all’incidente occorso e invocando il diritto ad essere tenuto indenne.

Il Tribunale, disponeva la riunione dei due procedimenti e riconosceva la responsabilità dei convenuti, il Comune, e le società , condannandoli in solido al pagamento di Euro 1.079.746,02; condannava le due società a tenere indenne il Comune in relazione alle somme eventualmente corrisposte all’attore nella misura eccedente il 20% del totale.

La Corte d’Appello di Cagliari, dichiarava fondata l’eccezione con cui le appellanti principali lamentavano che il Tribunale non avesse dichiarato inammissibile tanto la domanda formulata con autonomo giudizio dal Comune nei loro confronti, quanto l’estensione della domanda dell’attore.

Nello specifico affermava che le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non potevano essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un giudizio identico al primo, quand’anche i giudizi siano riuniti, perché la riunione di due cause non realizza una fusione dei procedimenti tale da determinare il concorso della definizione dell’effettivo thema decidendum et probandum, restando intatta l’autonomia di ciascuna causa. Conseguentemente riformava la decisione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto responsabili le due società e regolava la percentuale di responsabilità tra le suddette parti condannando l’assicurazione a tenere indenne una delle due società, lasciando ferma la sola condanna a carico del Comune.

Il Comune ricorre in Cassazione censurando la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda di garanzia proposta dallo stesso, perché avrebbe dovuto essere autorizzato alla chiamata in giudizio delle società convenute nel giudizio parallelo  e ha concluso che la preclusione verificatasi nel primo procedimento si fosse estesa anche ad ogni eventuale giudizio iniziato dall’appellato.

Tale statuizione sarebbe errata, ad avviso del Comune, perché gli artt. 167 e 269 c.p.c. sono disposizioni inserite nel codice di rito che disciplinano i diritti e le facoltà processuali delle parti all’interno del processo, pertanto, le decadenze da essi previste non possono produrre effetti su situazioni giuridiche soggettive sostanziali. Ulteriormente il Comune censura l’erronea affermazione che la proposizione di un’autonoma azione favorirebbe l’abuso dello strumento processuale e determinerebbe la lesione del diritto di difesa della parte a cui favore sono maturate le preclusioni, perché essa confonderebbe il diritto di difesa del terzo nel processo con l’inesistente possibilità per il terzo di sottrarsi al processo.

Le censure sono fondate.

Il Tribunale, attraverso una sua scelta discrezionale, disponeva la riunione dei due procedimenti: quello del soggetto asseritamente danneggiato nei confronti del Comune e quello promosso dal Comune nei confronti delle due società individuate come responsabili dell’illecito occorso alla vittima. Detti procedimenti erano certamente connessi oggettivamente per titolo, ma non identici, atteso che tra essi si configurava solo una comunanza della situazione da cui traevano origine le domande azionate, ma non già l’identità della causa petendi, né l’identità dei soggetti. Proprio l’assenza del requisito dell’identicità dei giudizi è d’ostacolo all’applicazione del principio di cui a Cass. 15/01/2015, n. 567, e non può quindi essere lamentata la violazione del principio di autonomia processuale tra le cause connesse per l’oggetto od il titolo riunite ai sensi dell’art. 274 c.p.c.

Non esistevano, pertanto,  ragioni per ritenere impedito il recupero dell’azione nei confronti delle terze chiamate con la proposizione di un giudizio autonomo volto ad ottenere l’accertamento della loro responsabilità esclusiva per i danni occorsi alla vittima a causa della buca ricoperta di sabbia, e non vi era alcuna esigenza di conformare l’attività processuale al principio del “ne bis in idem”.

Per tali ragioni la corte di merito ha applicato un principio di diritto non confacente ai fatti di causa.

Ciò che viene messo in risalto nella decisione esaminata,  è che l’entrata in giudizio del terzo non è di per sé un pregiudizio… è solo espressione del potere di azione del convenuto, che esisteva nei suoi confronti a prescindere dalle modalità con cui avrebbe dovuto esercitarsi nell’ambito del processo originario e che, dunque, non può essere censurato quanto ad irritualità del suo esercizio nell’ambito di quel rapporto.

La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d’Appello di Cagliari in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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