Il pedone si ferisce a causa della presenza di una buca sull’asfalto e chiede il risarcimento dei danni al Comune, ma il Tribunale rigetta la domanda perché il danneggiato ha avuto un comportamento imprudente (Tribunale Benevento, Sentenza n. 2326/2023 pubblicata il 27/11/202).
Il danneggiato deduce di essere caduto a causa di una profonda buca, non visibile e non segnalata, sull’asfalto in data 11/8/2019 a Piazza Caduti di Nassyria nel Comune di Airola.
La vicenda giuridica
Onde ottenere il risarcimento dei danni, il pedone cita in giudizio il Comune che contestava la domanda deducendo la responsabilità dello stesso danneggiato nella causazione del sinistro.
Il Tribunale ritiene la domanda infondata e la rigetta. Preliminarmente viene sottolineato che il riferimento normativo della vicenda è quello dell’art. 2051 c.c., poi il Giudice svolge un interessante excursus sulla evoluzione della normativa applicabile ai casi di responsabilità per custodia.
L’evoluzione della normativa applicabile ai casi di responsabilità per custodia
Inizialmente la giurisprudenza applicava (alle ipotesi quale quella in esame) i principi di cui all’art. 2043 c.c. a mente del quale l’amministrazione era tenuta a far sì che il bene demaniale non causasse danni a terzi. In tale contesto veniva elaborata la figura dell’insidia o trabocchetto, quale situazione per l’utente di pericolo occulto, cioè non visibile e non prevedibile, e quindi non evitabile con l’ordinaria diligenza.
Successivamente, la giurisprudenza ha invece iniziato a ritenere configurabile la responsabilità per danni da cose in custodia ex art. 2051 c.c. relativamente ai danneggiamenti subìti a seguito dell’utilizzo di strade pubbliche. Infatti, ritenere applicabile la responsabilità aquiliana rappresentava per gli Enti pubblici un ingiustificato privilegio e, di riflesso, un ingiustificato deteriore trattamento per gli utenti danneggiati. Viceversa, l’applicazione dell’art. 2051 c.c. si prestava ad una migliore salvaguardia e ad un miglior bilanciamento dei contrapposti interessi.
In una prima fase, agli inizi del nuovo millennio, l’art. 2051 c.c. veniva applicato solo con riferimento a beni demaniali che consentivano in concreto un controllo ed una vigilanza idonei ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo, e quindi non anche ai beni di notevole estensione e suscettibili di generalizzata utilizzazione. Pertanto, con specifico riguardo alle strade, l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. è stata inizialmente esclusa con riferimento a quelle statali (Cass. n. 179/2001) ed alle autostrade (Cass. n. 16356/2002, Cass. n. 16179/2001), mentre è stata viceversa ammessa relativamente alle strade di proprietà del Comune (Cass. n. 11446/2003) o della Provincia (Cass. n. 2020/1970), nonché alle pertinenze della sede stradale (Cass. n. 13087/2004) ed anche autostradale (Cass. n. 488 e 298 del 2003), alle scarpate (Cass. n. 10759/1998) ed alle zone limitrofe alla sede stradale di proprietà della P.A. (cfr. Cass. n. 17907 del 2003, Cass. n. 11366 del 2002).
La recente giurisprudenza
Più di recente, la Suprema Corte ha affermato che, ai fini del giudizio sulla possibilità di custodia, “le peculiarità vanno individuate non solo e non tanto nell’estensione territoriale del bene e nelle concrete possibilità di vigilanza su di esso e sul comportamento degli utenti, quanto piuttosto nella natura e nella tipologia delle cause che abbiano provocato il danno: secondo che esse siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode (quali, in materia di strade, l’usura o il dissesto del fondo stradale, la presenza di buche, la segnaletica contraddittoria o ingannevole, ecc.), o che si tratti invece di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (perdita d’olio ad opera del veicolo di passaggio; abbandono di vetri rotti, ferri arrugginiti, rifiuti tossici od altri agenti offensivi).
Nel primo caso è agevole individuare la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., essendo il custode sicuramente obbligato a controllare lo stato della cosa e a mantenerla in condizioni ottimali di efficienza. Nel secondo caso l’emergere dell’agente dannoso può considerarsi fortuito, quantomeno finché non sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perché l’ente gestore acquisisca conoscenza del pericolo venutosi a creare e possa intervenire ad eliminarlo“.
Ragionando in tal senso, al custode vengono addossati solo i rischi di cui egli possa essere chiamato a rispondere e il danneggiato deve solo provare l’evento dannoso e il suo rapporto di causalità con la cosa in custodia.
Conclusivamente, in relazione a talune fattispecie potrebbe essere necessario stabilire se l’evento dannoso sia derivato, in tutto o in parte, dal comportamento dello stesso danneggiato e, dunque, il corollario è quello dettato dall’art. 1227, comma I, c.c.
Il pedone ha avuto un comportamento imprudente
Venendo al caso concreto, il pedone non ha assolto al proprio onere probatorio e dall’istruttoria sono emersi elementi idonei a ritenere che il comportamento imprudente dello stesso abbia avuto una efficienza causale nel sinistro.
Dalle fotografie della strada si evince la presenza sull’asfalto di una buca profonda del tutto visibile e, pertanto, la situazione “di possibile pericolo” era percepibile.
Il grado di diligenza che è preteso dall’utente della strada è direttamente proporzionale all’evidenza ed all’entità delle sconnessioni o dei dissesti percepibili: la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità della Pubblica Amministrazione per difetto di manutenzione.
Avv. Emanuela Foligno
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