Le stime parlano chiaro. Il fenomeno del bullismo è in continua crescita ed espansione. Così l’Ansa ha riportato i dati dell’Istat contenuti nel rapporto “Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi”.

Nel citato rapporto si dichiara che circa il 50% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni ha subito qualche episodio offensivo e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze nei 12 mesi precedenti. Nella specie, è emerso che il 19,8% dei ragazzi è vittima assidua di bullismo, cioè subisce condotte tipiche del fenomeno più volte al mese; per il 9,1% gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale. Si registrano anche differenze a livello regionale: le vittime assidue di soprusi raggiungono il 23% degli 11-17enni nel Nord del paese.

Il termine bullismo è la traduzione dell’inglese bullying, sostantivo di bully, che secondo l’Oxford Dictionary on-line significa maltrattare, intimidire, intimorire, e indica più specificamente, una “persona che usa la propria forza o potere per intimorire o danneggiare una persona più debole” (Oxford Dictionary, 1990) (Iannaccone, 2008). All’origine del termine c’è la parola inglese bull, che significa toro.

Il termine bullismo, in verità, non indica una qualsiasi condotta aggressiva, o violenta, o comunque gravemente offensiva nei confronti di uno o più compagni di scuola, ma sta a indicare, “un insieme di comportamenti verbali, fisici e sociologici reiterati nel tempo, posti in essere da un individuo, o da un gruppo di individui, nei confronti di individui più deboli”. Baldry (1998). È infatti, essenziale perché si possa parlare di bullismo, l’elemento della reiterazione nel tempo di comportamenti vessatori (un singolo episodio, per quanto grave e sanzionabile, non rientra nella categoria).

Il bullismo, secondo alcuni, è nei contesti infantili e adolescenziali, ciò che nei contesti lavorativi è conosciuto come mobbing (dall’inglese mob, termine che indica un gruppo di persone, di solito esteso e anonimo, che compie azioni di aggressione nei confronti di un altro individuo Heinemann, 1972; Olweus, 1973). Il bullo (o i bulli) rivolge i propri attacchi “violenti”a individui più deboli. La debolezza della vittima può dipendere da caratteristiche personali (ad esempio timidezza, oppure disabilità) o da caratteristiche socio-culturali (appartenenza a minoranze etniche o religiose, etc.).

I comportamenti che rientrano nel fenomeno, sono vari, e vanno dall’offesa alla minaccia, dall’esclusione dal gruppo all’appropriazione indebita di oggetti della vittima (violenza psicologica), fino a picchiare o costringere la vittima a fare qualcosa contro la propria volontà (violenza fisica). È proprio la sperequazione tra la posizione delle due parti (una più forte e l’altra, evidentemente più debole) a rendere il bullismo un fenomeno a parte rispetto al semplice conflitto o simili.

I bulli – secondo quanto emerge dalle stime – sono prevalentemente di sesso maschile; nei maschi il bullismo di manifesta prevalentemente con la violenza fisica. Si è soliti distinguere al riguardo, il c.d. bullismo diretto, caratterizzato da azioni aperte nei confronti della vittima e, il c.d. bullismo indiretto, caratterizzato al contrario, da forme di emarginazione dal contesto sociale della vittima, e dalla sua esclusione relazionale col gruppo.

Il bullismo indiretto è, invece, praticato prevalentemente dalle femmine. Queste ultime, nella maggioranza dei casi, sono solite praticare forme di bullismo indiretto su altre femmine (ad esempio, calunniarle, allontanare la vittima dalla sua migliore amica o dal suo gruppo, etc.). Nei casi, invece, di bullismo perpetrato ai danni di più soggetti sia di sesso maschile che di sesso femminile, le ragazze dichiarano di subire azioni vessatorie da parte di maschi.

Per quanto riguarda l’incidenza del fenomeno, i dati riportano che il bullismo indiretto è, nelle dichiarazioni degli studenti, più frequente di quello diretto con una percentuale del 23% (ricevuto -percentuale di vittime-) e 22% (agito –percentuale di bulli) a fronte di una percentuale del 15% di bullismo diretto agito e ricevuto.

Riguardo, invece, all’intensità del fenomeno, gli studenti delle fascia di età più alta (16-17 anni), e soprattutto maschi, dichiarano di avere agito sia il bullismo diretto che indiretto per più giorni durante la settimana, con una percentuale del 25% rispetto al totale degli studenti che si sono dichiarati bulli, mostrando l’esistenza di una rilevante intensità del fenomeno.

In riferimento, poi, all’età, gli studenti di 12-13 anni si rivelano vittime del bullismo tradizionale sia diretto che indiretto con frequenze significativamente più alte degli studenti delle superiori (19% si dichiarano vittime di bullismo diretto e 26 % vittime di bullismo indiretto). Per contro, gli studenti delle superiori dicono di avere agito il bullismo indiretto con percentuali che superano il 23%, significativamente più alte rispetto ai più giovani. (Fonte: www.bullyingandcyber.net).

Da un punto di vista strettamente giuridico, il vero problema sta nella difficoltà di inquadrare il fenomeno all’interno di una fattispecie giuridica ad hoc. Qual è, dunque, la rilevanza che esso assume nell’ordinamento giuridico italiano? Ebbene, la questione non è di semplice soluzione. Punto di partenza è prendere atto dell’assenza nel contesto giuridico nazionale di una fattispecie criminosa che lo disciplini esattamente e, dunque, lo sanzioni. Ciò vuol dire che, nonostante l’allarme provocato dall’incidenza sempre più drammatica, del fenomeno in questione, il nostro legislatore, si è ben guardato dall’offrire uno strumento di tutela ad hoc, e così, allo stesso modo, solo poche volte la giurisprudenza, nelle proprie decisioni, ha parlato espressamente di bullismo.

Non esiste il reato di bullismo! L’inerzia del legislatore, tuttavia, non ha impedito che comportamenti reiterati, inquadrabili nella categoria sopra detta, fossero puniti. Ciò avviene, attraverso l’analisi caso per caso, e la riconducibilità delle singole condotte incriminate all’interno di figure criminose già esistenti. Si pensi al reato di percosse (581) o lesioni personali (852 c.p.), al reato di ingiuria (594 c.p.); minaccia (612 c.p.), stalking (612-bis c.p.), e ancora alla violenza sessuale (609-bis) o, nei casi più gravi, alla violenza sessuale di gruppo (609-octies).

Il fenomeno come è noto, si manifesta attraverso comportamenti che presi singolarmente, già di per sé costituiscono reato. È in tal senso che si sopperisce al vuoto normativo, prendendo in prestito la disciplina prevista per altre fattispecie criminose per le quali, l’ordinamento già prevede una specifica pena.

Avv. Sabrina Caporale

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