Singolare vicenda che scaturisce dalla caduta all’interno di un supermercato nella quale vengono vagliati il concorso di colpa della vittima e il peso processuale della cartella clinica (Cassazione civile sez. III, 19/11/2024, n.29716).
I fatti
L’incidente si è verificato il 5 maggio 2014, quando la donna è caduta all’interno del supermercato GS di Roma ed ha riportato una contusione del ginocchio.
Due giorni dopo, poiché la contusione peggiorava, la donna si è recata all’Ospedale San Giovanni Addolorata dove è stata sottoposta ad alcuni esami e rinviata a domicilio. Il giorno successivo, tuttavia, a causa del riacutizzarsi del dolore, è nuovamente tornata presso l’ospedale, dove questa volta è stata ricoverata per sospetta trombosi venosa profonda e dove è stato praticato un intervento per scongiurare le conseguenze negative di tale situazione. All’esito di tali ricoveri la donna ha subito però dei danni permanenti dovuti ad una fascite abbastanza grave.
Successivamente la vittima e i suoi familiari citano in giudizio sia l’Ospedale San Giovanni che il supermercato GS, ritenendoli responsabili, ciascuno per la propria parte, del danno subito.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale, che ha escluso la colpa dei sanitari e del supermercato, ha ipotizzato concorso di colpa della danneggiata nel non aver seguito la terapia prescritta dai medici.
Viene proposto appello, limitando tuttavia le domande soltanto nei confronti dell’Ospedale San Giovanni. La Corte di Roma ha riformato la decisione di primo grado disattendendo le conclusioni del CTU di primo grado e condannando l’ospedale al risarcimento del danno nei confronti della donna caduta all’interno del supermercato e dei suoi familiari.
La Corte di appello doveva accertare se la diagnosi fatta dai sanitari del pronto soccorso fosse o meno corretta. La CTU l’aveva ritenuta esente da colpa ed il Tribunale aveva deciso di conseguenza. Invece, i Giudici di appello hanno maturato la convinzione che la diagnosi non era corretta innanzitutto dalla incompletezza della cartella clinica, nella quale risulta diagnosticata una semplice contusione mentre non c’è traccia della infezione in corso, che invece è stata la conseguenza più grave della caduta.
Inoltre hanno escluso che ad aggravare le conseguenze dell’incidente sia stato anche il comportamento colpevole della paziente per non aver seguito la prescrizione medica che le era stata fatta al momento della dimissione dopo il primo ricovero: su questo punto i Giudici hanno ritenuto che il suggerimento di usare determinati farmaci non era stato consegnato alla donna o non vi era prova che costei lo avesse avuto.
L’intervento della Cassazione
Il controllo da parte della Corte di Cassazione, che rigetta in toto, viene sollecitato dall’Ospedale San Giovanni.
La ricorrente contesta l’accertamento svolto dalla Corte d’Appello circa l’omessa diagnosi di infezione sostenendo che se tale infezione non risultava dalla cartella clinica, l’infezione per l’appunto non c’era.
Questa affermazione è basata sulla tesi secondo cui “la cartella clinica fa piena prova di quanto in essa contenuto fino a querela di falso, e, siccome il suo contenuto esclude l’infiammazione e prevede la sola contusione del ginocchio, non si può presumere invece il contrario, cioè che la infiammazione ci fosse”.
La Cassazione dichiara infondate le censure mosse per contestare i presupposti stessi del ragionamento della Corte d’Appello, vale a dire la circostanza che quella decisione è stata assunta disattendendo completamente i risultati della CTU. Tuttavia, quanto argomentato dall’Ospedale san Giovanni non è sufficiente a far ritenere di per sé errata la ratio decidendi, in quanto il Giudice di merito ha il potere di discostarsi dalla CTU purché fornisca adeguata motivazione di tale sua decisione (Cass. 36683/2021).
La Corte di Roma ha dato conto del proprio discostamento dalle conclusioni del Consulente, e lo ha fatto facendo leva sulla incompletezza della cartella clinica e su una serie di altri elementi indiziari che hanno indotto ad una conclusione diversa.
Non può discorrersi di omesso esame quando il Giudice si discosta dalle conclusioni del CTU, per la logica ragione che disattendere presuppone aver esaminato.
Ciò detto, l’argomento principale utilizzato dalla Corte d’Appello sta nel fatto che, posto che l’infezione c’era, e posto che nella cartella clinica non è segnalata, ne consegue che al momento in cui la cartella clinica è stata redatta, i sanitari non se ne erano accorti, altrimenti avrebbero dato menzione della infezione nella stessa cartella.
Le motivazioni della Corte di Appello
L’art. 2700 c.c. attribuisce fede pubblica agli atti del pubblico ufficiale soltanto relativamente a due aspetti: il fatto che l’atto sia redatto per l’appunto da un pubblico ufficiale ed il fatto che quanto in esso narrato è accaduto in presenza del pubblico ufficiale. La fede pubblica della cartella clinica non si estende alla veridicità del contenuto dell’atto, cioè alla circostanza che i fatti si siano svolti in quel modo e non in un altro. Il che significa, in altri termini, che il Giudice di merito ha di certo il potere di verificare se la diagnosi indicata nella cartella clinica sia corretta oppure no, ma non è vincolato da quanto in essa contenuto.
Dunque, correttamente i Giudici di appello hanno indagato altrove per stabilire se la diagnosi contenuta nella cartella clinica (semplice contusione) fosse errata: non erano vincolati a tenere per buona quella diagnosi, ben potendo verificare, alla luce di altri elementi, se fosse o meno una diagnosi corretta.
Detto ciò, venendo all’asserito contributo colposo della stessa vittima, è stato accertato che nelle prescrizioni rilasciate alla paziente il medico del PS ha prescritto soltanto il controllo del medico curante e non anche la terapia antibiotica e antinfiammatoria, che era stata consigliata dal chirurgo. Ed è per questa ragione che i Giudici hanno ritenuto che la paziente non era stata informata della terapia da seguire, terapia che era rimasta una raccomandazione del chirurgo agli altri medici che gli chiedevano parere, ma che non era giunta alla paziente. Non può quindi essere ascritta alla paziente la colpa di non aver dato seguito ad una prescrizione che non ha mai ricevuto.
Avv. Emanuela Foligno