Il condominio viene ritenuto responsabile della caduta dalle scale a causa di uno scalino rotto con condanna al pagamento danni (Cassazione civile, sez. II, 23/07/2024, n.20393).
L’incidente era avvenuto il 26 gennaio 2005, alle ore 8.25 circa, quando la vittima, nello scendere la scala B del fabbricato, era inciampata a causa di uno scalino rotto e, avendo perso l’equilibrio, era caduta dalle scale ruzzolando e battendo violentemente la testa, restando privo di sensi per alcuni minuti.
La vicenda giudiziaria
Il Tribunale di Napoli condannava il Condominio a risarcire alla vittima quarantamila euro per i danni riportati per effetto della caduta dalle scale. Il primo Giudice, inoltre, in accoglimento della domanda di garanzia del condominio, condannava la società edile (appaltatrice dei lavori di ristrutturazione e di risanamento conservativo dell’edificio condominiale in corso al momento del sinistro) a rifondere al Condominio di quanto fosse stato tenuto a corrispondere in esecuzione della sentenza.
Successivamente, la Corte di Napoli, con sentenza n. 5222/2017, rideterminava la somma dovuta a titolo di risarcimento danni in favore della vittima in quella di 11.685,60 euro, ferma la responsabilità accertata in primo grado.
I Giudici di secondo grado riducevano l’importo risarcitorio perché rivalutavano sia lo stato ansioso-depressivo che la durata dell’inabilità temporanea e totale espungendo, perché non provata, l’amnesia retrograda (oltretutto, di norma, anterograda) lamentata dalla vittima siccome presupponente un importante danno cerebrale che, nel caso di specie, non era risultato né documentato né dimostrato.
In particolare veniva liquidato a titolo di danno non patrimoniale (comprensivo di quello morale) – conseguente alla riconosciuta invalidità permanente ed avuto riguardo alla data del sinistro (28 anni) e al grado di inabilità nell’ordine del 5% – la somma di 7.896 euro, con l’aumento del 10% per la sua personalizzazione, tenendo conto delle sofferenze e dei turbamenti patiti dal danneggiato dopo la caduta dalle scale, oltre ai giorni di inabilità totale e parziale.
Il ricorso in Cassazione
La vittima si spinge in Cassazione, che respinge integralmente il ricorso, e lamenta il mancato esame della CTU, la esclusione dell’amnesia retrograda post-traumatica e la errata liquidazione riconducibile al disturbo ansioso-depressivo, riconosciuto nella sola misura del 5%.
L’abbattimento al 5% del grado di inabilità permanente non è frutto di un’arbitraria valutazione della Corte di appello, essendo sorretto da una motivazione fondata su valutazioni di merito rispettose del minimo costituzionale.
Per quanto concerne le altre censure mosse, la Cassazione richiama la giurisprudenza pacifica nel rilevare che, mediante la formulazione del ricorso per cassazione, non può mettersi in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento sul piano fattuale operato dal Giudice del merito, desunto dall’esame degli elementi di valutazione disponibili e che risponda ad un principio di coerenza.
Non costituiscono vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., le contestazioni che siano dirette a criticare il “convincimento” che il Giudice di merito si è formato ponderando il materiale probatorio.
Le contestazioni non sono ammissibili
Ad ogni modo, la vittima non ha allegato alla Cassazione quando e come nei gradi di merito avesse posto la questione sulla individuazione della natura e dell’incidenza delle menomazioni subite ponendo riferimento ai criteri tabellari di cui al D.Lgs. n. 209/2005. In ogni caso, afferma la S.C., l’individuazione della percentuale di inabilità permanente nel 5% costituisce il risultato che la Corte di appello ha raggiunto sulla scorta di un esame mirato a cui ha sottoposto l’intero compendio istruttorio, ragion per cui la relativa risollecitazione non è ammissibile.
I Giudici di secondo grado hanno congruamente motivato riguardo alle conseguenze lesive permanenti – dando conto dell’esclusione dell’amnesia retrograda, in assenza di danno cerebrale serio, nonché della non particolare rilevanza dello stato ansioso e depressivo, e ciò sulla base delle risultanze documentali, del riscontrato periodo non eccessivo a cui erano state riferite le prescrizioni farmacologiche e del richiamo alle valutazioni ai più autorevoli barèmes medico-legali.
Anche la personalizzazione del 10% decisa dal secondo grado sfugge al vaglio della S.C. in quanto adeguatamente motivata e specificatamente liquidata in ragione delle sofferenze e dei turbamenti patiti dalla vittima nei limiti in cui essi potessero realisticamente presumersi con riguardo alle lesioni riportate.
Avv. Emanuela Foligno