Il pedone, a seguito di caduta sul paracarri , ovvero sulla catena di congiunzione dei paracarri, che delimita la zona pedonale, cita a giudizio il Comune di Milano per il risarcimento dei danni.

Caduta sul paracarri da parte del pedone: la vicenda approda in Cassazione dalla Corte d’Appello di Milano: Cassazione Civile, Sez. VI, Sentenza n. 2193 depositata il 25/01/2022.

Caduta sul paracarri: il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda ritenendo che il danneggiato non avrebbe fornito la prova del nesso causale tra la catena di congiunzione delimitante l’area pedonale e il danno, argomentando che la conformazione della piazza, in particolare dell’area pedonale delimitata da una sequenza di paracarri in granito bianco collegati da catenelle grigie era ben evidente.

Ergo, il primo Giudice riteneva lo stesso danneggiato responsabile della caduta sul paracarri per la sua condotta anomala e non adeguata al contesto.

La Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza di prime cure e riteneva che la disposizione dei paracarri non fosse idonea a determinarne l’imprevedibilità in quanto le catene si estendevano ad altezza caviglia e non potevano costituire un pericolo per un pedone mediamente avveduto.

Il danneggiato (nonostante doppia conforme di merito), ricorre in Cassazione.

Secondo il ricorrente la sentenza sarebbe errata in quanto sorretta da una motivazione solo apparente o contraddittoria, incomprensibile e perplessa. La Corte d’Appello, infatti, si sarebbe concentrata non sulla catena, ma sui paracarri escludendone la pericolosità, in quanto essi sarebbero ostacoli ben visibili in ragione di una certa importante dimensione di ingombro.

Inoltre, sempre secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente applicato i principi di diritto in tema di responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c..

Gli Ermellini evidenziano, riguardo la eccepita mancata valutazione della pericolosità dei luoghi, che la sentenza impugnata ha trattato la questione che, comunque, è ininfluente sul giudizio causale dell’evento.

Le altre censure sono indirizzate a una rivalutazione dei dati fattuali e in particolare probatori, il cui giudizio rimane nella piena discrezionalità del Giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.

Spetta, in via esclusiva, al Giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.

La censura attiene alla congruenza probatoria dell’indice presuntivo, rappresentato dalla piena visibilità dell’ingombro: il Giudice di merito ha inferito l’imputazione causale dell’evento allo stesso danneggiato la cui condotta, alla luce della visibilità delle catene di congiunzione dei paracarri, è stata qualificata come priva di attenzione alla stregua di quella che dovrebbe essere l’ordinaria diligenza di un pedone.

E’ giuridicamente corretto, pertanto, che la caduta sul paracarri sia stata addebitata allo stesso danneggiato.

Gli ulteriori motivi di censura sul punto, sono anche essi inammissibili perché relativi alla valutazione delle risultanze istruttorie.

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode, posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, intendendosi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta, salva la prova, che incombe a carico di tale soggetto, del caso fortuito, inteso nel senso più ampio di fattore idoneo ad interrompere il nesso causale e comprensivo del fatto del terzo o dello stesso danneggiato. Con riguardo, invece, alla richiesta risarcitoria ex art. 2043, non si comprende come il ricorrente esclusa la responsabilità ai sensi del 2051 c.c., possa chiedere la condanna del Comune ai sensi dell’art. 2043 c.c., (in mancanza di prova della sussistenza dei differenti elementi costitutivi della relativa fattispecie).

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Avv. Emanuela Foligno

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