Carcinoma spinocellulare della cervice uterina e inutile intervento chirurgico (Tribunale Milano, sez. I, 12/08/2022).

Carcinoma spinocellulare e intervento chirurgico inutile provocano l’azione civile nei confronti dell’Istituto dei Tumori.

Gli eredi della paziente citano a giudizio la struttura per vederne accertata la responsabilità medica.

Deducono che la madre, cui era stato diagnosticato in data 26.10.2007 “idroureteronefrosi sinistra in carcinoma spinocellulare della cervice uterina” veniva inizialmente trattata presso l’Unità operativa di Radioterapia dell’Istituto con posizionamento di stent ureterale monolaterale e posizionamento di catetere nefrostomico. Quindi veniva avviata ad un programma terapeutico che prevedeva RT definitiva e chemioterapia concomitante, previo parere del cardiologico, essendo la donna cardiopatica.

Il trattamento chemioterapico veniva sospeso dopo la prima somministrazione di cisplatino per l’insorgenza di cardiopalmo e sindrome di Prinzmetal.

Il trattamento radiante terminava in data 28.12.2007 ed in data 3.12.2007 si refertava “la risposta è stata di remissione parziale. Cervice di dimensioni lievemente ridotte (5 cm) di consistenza dura, mucosa integra e non più sanguinante, fornice anteriore e parete anteriore della vagina sono interessati dalla malattia”.

La paziente veniva informata di un possibile intervento chirurgico con possibilità di asportazione della vescica in alternativa alla sovradose brachiterapica”. In data 30.1.2008 la donna veniva sottoposta ad intervento chirurgico di laparotomia ombelico-pubica, exenteratio anteriore, linfadenoctomia pelvica bilaterale, ileoureteroneostomia. Non veniva eseguita biopsia intraoperatoria, ma gli esami citologici ed istologici venivano disposti sul materiale asportato e, all’esito, davano esito negativo per malattia di carcinoma spinocellulare.

La paziente veniva dimessa in data 9.2.2008, ma a breve veniva ricoverata nuovamente (20.2.2008) per forti algie addominali; veniva quindi dimessa in data 6.3.2008 con diagnosi di subocclusione intestinale e prescrizione di esami e assunzione di terapia farmacologica.

La donna, decideva di affidarsi ad altra Struttura, ove veniva ricoverata, previa esecuzione di TAC urgente all’addome, che segnalava un quadro clinico grave di subocclusione intestinale. Ivi veniva sottoposta in data 17.3.2008 ad intervento chirurgico di adelsiolisi, by pass ileo-colico e riconfezionamento di uics. Sopraggiungevano tuttavia complicanze cardiologiche e il 22.3.2008 la donna decedeva.

In estrema sintesi, gli attori deducono profili di colpa nell’operato del reparto di Ginecologia Oncologica dell’Istituto milanese.

Il primo relativo alla errata valutazione clinica di remissione parziale all’esito della radioterapia e all’indicazione allo svolgimento immediato di una RMN pelvica prodromica ad un intervento chirurgico di asportazione della vescica, in quanto in contrasto con le linee guida relative al trattamento del carcinoma spinocellulare della cervice e in contrasto con l’iniziale piano di cura della paziente avendo omesso il trattamento radioterapico interno viceversa raccomandato dalla radioterapista (brachiterapia).

Il secondo relativo alla mancata esecuzione di una biopsia pre o intra operatoria, esame che sarebbe stato necessario al fine di evitare di confondere le alterazioni da radioterapia con l’infiltrazione neoplastica (che possono permanere nei primi 6/12 mesi dopo il trattamento) e quindi avrebbe potuto evitare l’esecuzione dell’intervento demolitivo.

Il terzo nella dimissione imprudente della donna, quando ancora era dolorante a seguito dell’intervento altamente demolitivo subito. I dolori addominali ingravescenti “facevano presagire un rapido deterioramento del quadro clinico tanto che il decesso avvenne a soli 16 giorni dalla dimissione”.

Preliminarmente il Tribunale affronta l’eccezione di prescrizione del diritto azionato dagli attori jure proprio.

L’eccezione svolta dall’Istituto è fondata.

Gli attori agiscono sia iure ereditario rispetto al diritto risarcitorio della congiunta, sia iure proprio. Con riguardo a tale ultimo profilo la prescrizione è pacificamente quinquennale trattandosi di responsabilità che prescinde da un rapporto contrattuale diretto con la struttura sanitaria.

Nel merito, sulla responsabilità dell’Istituto, il Tribunale richiama la espletata CTU medico-legale.

I CTU hanno accertato che:

“- quanto ai trattamenti cui venne sottoposta la paziente, affetta da carcinoma spinocellulare cervicale uterino, allo stadio IIIb, ella fu sottoposta inizialmente presso la struttura convenuta a radioterapia e chemioterapia, quest’ultima sospesa per il verificarsi di problematiche cardiache; risultarono negativi per secondarismi viscerali e ossei gli accertamenti eseguiti;

– in particolare, prima dell’intervento per cui è causa, si rese necessario il posizionamento di una nefrostomia sinistra per il riscontro di una idroureteronefrosi ostruttiva; la procedura fu eseguita in assenza di complicanze, concedendo quindi l’avvio della radioterapia e chemioterapia come da programma terapeutico pianificato. Fu avviato quindi, in data 14-11-2007, il primo ciclo di CT con taxolo e cisplatino. Tuttavia nel corso della somministrazione la sig.ra manifestò un improvviso dolore retrosternale ed epigastrico, associato a intensa sudorazione e ipotensione, che impose la sospensione della terapia ed il trasferimento della paziente presso la terapia intensiva dello stesso nosocomio, con avvio di accertamenti cardiologico suggestivi per una lesione subepicardica in paziente anemica con sospetto di angina di Prinzmetal;

– seguì (dicembre) nuovo tentativo di somministrazione di CT, che richiese anche questa volta la sospensione, per il ripresentarsi della complicanza cardiaca in precedenza verificatasi. Fu per tale ragione che il trattamento chemioterapico venne definitivamente sospeso e la paziente venne sottoposta esclusivamente a trattamento radiante, terminato a fine dicembre 2007 (conclusione ciclo 28-12-07);

– al termine venne descritta una remissione parziale, come si evince nella relazione di conclusione del trattamento dalla quale si legge “modesta riduzione della neoplasia, che comunque non è più sanguinante. Alla luce della risposta clinica, si considera la possibilità di un trattamento chirurgico, previa nuova RMN addome pelvi e soprattutto valutazione anestesiologica”;

– obiettivamente venne annotato “cervice di dimensioni lievemente ridotte (5 cm) di consistenza dura, la mucosa è integra, non più sanguinamento, il fornice sn e la parete ant della vagina sono interessati dalla malattia, ER: parametrio infiltrato a parete”;

– strumentalmente la RMN eseguita pochissimi giorni dopo (31-12-07) mostrò, “in corrispondenza del versante sin della cervice uterina una alterazione tissutale disomogeneamente iperintensa in T2 e dotata di contrast enhancement a margini irregolari che determina patologico imbottimento del parametrio di sn inglobando l’uretere distale omolaterale senza evidenza di alcun clivaggio rispetto alla parete vescicale nella regione del meato e più medialmente ad essa con estensione a obliterare anche il tessuto adiposo retro vescicale in sede paramediana sinistra. Elementi linfonodali sono riconoscibili in sede iliaca esterna nonché alla biforcazione delle iliache d’ambo i lati con lieve prevalenza destra, con dimensione massime inferiori al centimetro”;

– quanto alla indicazione all’intervento chirurgico, premessa una rassegna documentata in ordine agli standard di trattamento del tumore della cervice uterina, hanno osservato che il tipo di trattamento dipende essenzialmente dallo stadio della malattia, essendo prevalentemente chirurgico nei primi stadi, mentre radio e chemioterapico negli stadi più avanzati. Il trattamento standard del carcinoma della cervice ai primi stadi è tradizionalmente costituito dall’isterectomia radicale con linfoadenectomia pelvica negli stadi IA2-IB1 e dall’isterectomia semplice o conizzazione nello stadio IA1, con un tasso di sopravvivenza libera da progressione a 5 anni dell’87-92%. Nelle neoplasie localmente avanzate (Stadio FIGO ≥ IB2), la radioterapia (sempre e necessariamente comprensiva della brachiterapia) rappresenta il trattamento di scelta; a questa, va associata una chemioterapia concomitante, preferibilmente basata sui derivati del platino; lo schema più utilizzato prevede la somministrazione settimanale di 40 mg/m2 di Cisplatino per tutta la durata della radioterapia. I vantaggi dell’associazione radiochemioterapica rispetto alla sola radioterapia sono stati evidenziati da numerosi studi clinici e dalle successive meta-analisi;

– nelle pazienti con tumori in stadio IIIB, come nel presente caso, in presenza di idroureteronefrosi per coinvolgimento dell’uretere deve essere posta la massima attenzione al recupero della funzione renale, mediante il posizionamento di stent endoureterali od il confezionamento di nefrostomia; questo anche per consentire la chemioterapia concomitante con farmaci nefrotossici come il Cisplatino. L’utilizzo della radiochemioterapia concomitante ha consentito di migliorare significativamente la prognosi di queste pazienti, con controllo locale della malattia in circa il 70-80% dei casi e sopravvivenza globale attorno al 50-70% a 5 anni.

– “Meno comprensibile”, invece, risulta l’approccio clinico dopo aver terminato il trattamento radiante, in quanto si procedette ad immediato esame RMN (di pochi giorni dopo il termine delle cure radianti); sarebbe stato, al contrario, opportuno attendere 4-6 settimane per valutare gli effetti completi della radioterapia, per poi valutare la reale situazione e le conseguenti necessità chirurgiche.  Al contrario, nel caso di specie, fu posta immediata indicazione ad un intervento altamente demolitivo che venne definito quale unica scelta terapeutica, consistente in una isterectomia radicale con annessectomia bilaterale, cistectomia radicale ed asportazione dei 2/3 superiori della vagina nonchè linfadenectomia pelvica sistematica, con confezionamento neocutaneoileo- uretero stomia destra sec. Bricker su ansa ileale defunzionalizzata.

– Tale intervento ha le caratteristiche dell’overtreatment, in un contesto di malattia per la quale la letteratura lo prevede solo al livello sperimentale e con effetti collaterali non accettabili per la paziente. La paziente avrebbe al contrario potuto essere candidata alla brachiterapia, opzione terapeutica prevista dalle linee guida per quello stadio, che comporta sicuramente effetti collaterali minori rispetto ad un intervento chirurgico quale quello cui fu sottoposta”.

Ulteriori criticità vengono evidenziate dai CTU con riferimento all’assenza del prelievo bioptico intraopertorio definito non eseguibile nonché sul fatto che tutta la struttura venne considerata francamente neoplastica senza considerare l’opzione, pur verosimile, della fibrosi da radioterapia, come effettivamente poi si rivelò alla luce dell’esame istologico.

Censurabile, quindi, l’indicazione e la progettazione della fase chirurgica nonché la sua esecuzione.

Conclusivamente, il trattamento chemioterapico e radiante era stato realizzato in modo incompleto, stante le problematiche cardiologiche, il trattamento chirurgico eseguito era del tutto non indicato e, nella sua eccessiva demolizione, un vero e proprio over treatment.

Condivisibile, infine, la dimissione imprudente della paziente, considerato che presentava un quadro algico addominale non ancora risolto completamente a seguito dell’intervento, pur essendo stata ricoverata nuovamente per tali problematiche e poi nuovamente dimessa con previsione di visita ambulatoriale a breve.

Il Tribunale accoglie la domanda limitatamente al profilo del consenso informato, respinge la domanda inerente la responsabilità professionale sanitaria dell’Istituto per il decesso della paziente.

Avv. Emanuela Foligno

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