Ipoacusia neurosensoriale per trauma da parto (Cassazione civile, sez. III, 17/10/2022, n.30380).

Ipoacusia neurosensoriale a causa di un trauma da parto.

Viene citata a giudizio la Gestione liquidatoria della ex USL, per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 363.007,50, a titolo di risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza della ipoacusia neurosensoriale cagionata da un trauma da parto, che aveva comportato ipossia fetale al momento della nascita.

Il Tribunale rigettava la domanda.

La Corte di Appello di Lecce, sez. di Taranto, in riforma della pronuncia del Tribunale, dichiarava estinto per prescrizione il diritto del danneggiato al risarcimento dei danni e, in parziale accoglimento dell’appello, rideterminava le spese di lite di primo grado.

I giudici di appello ritenevano fondata l’eccezione di prescrizione, non esaminata dal primo Giudice e riproposta in appello dalla Gestione liquidatoria della USL in quanto: a) “in punto di fatto”, l’accertamento della ipoacusia neurosensoriale bilaterale risaliva “al tempo in cui lo stesso, ha compiuto sei anni”; b) non erano “riportati ulteriori successivi accertamenti oltre tale epoca”, nemmeno dopo le dimissioni dalla struttura ospedaliera in cui era nato, dove, quattro giorni dopo la nascita, era posta diagnosi di “petecchie agli arti inferiori specie a sinistra, petecchie anche al soma”, con annotazione “i familiari sono avvisati dell’infermità del proprio figlio” e dalla cartella clinica emergevano “segni inequivocabili di un parto non fisiologico e della sofferenza fetale, subita dal neonato in fase di disimpegno podalico”; c) “ordinaria e normale prudenza avrebbe dovuto indurre i genitori, per di più in ragione della loro qualifica professionale” (la madre farmacista e il padre medico) “a ripetere gli esami a breve e, quanto meno, nel decorso degli anni successivi fino al raggiungimento della maggiore età del danneggiato in ragione dei progressi della scienza e degli ulteriori mezzi di indagine dalla stessa apprestati” e ciò a fronte di una dedotta “scarsa diligenza e competenza” emergente non solo dalla cartella clinica (“la cui omessa consegna non è stata mai dedotta”), ma anche dall’esperienza diretta della partoriente, “lasciata in piedi per lungo tempo, nonostante la rottura del sacco del liquido amniotico, fino all’inizio precipitoso del parto”; d) l’appellante aveva allegato che soltanto nel 2006, in occasione dell’effettuazione di una risonanza magnetica, veniva accertato che “la sordità trovava la sua causa nell’ipossia intrauterina del feto” e che tale risonanza, “di recente acquisizione, invasiva e potenzialmente pericolosa, non rientrava nella prassi ordinaria di tutti gli audiolesi” e che egli vi si era “sottoposto da adulto nella prospettiva di migliorare la propria funzione uditiva con impianto cocleare”; d,1) l’argomentazione non era, però, condivisibile poiché, come risultava in atti, nel 2006 veniva effettuata prima una TAC e “che la risonanza magnetica dell’encefalo era stata eseguita per verificare quanto già accertato ovvero che “dal lato cerebrale si rileva minimo esito come da sofferenza fetale” (…) e che l’indagine, compiuta dopo circa quarant’anni dal danneggiato, avrebbe potuto essere effettuata” in precedenza dai suoi genitori prima della maggiore età e, poi, dallo stesso appellante, “del tutto nelle sue piene capacita di intendere e volere”, essendo cessato il ritardo psicomotorio a sei anni; e) inoltre, sin dal giugno 1988 veniva riconosciuta allo stesso una invalidità al 52% per ipoacusia neurosensoriale bilaterale “e che, quanto meno successivamente a tale data, in considerazione di quanto emergente dalla cartella clinica e conosciuto dai suoi genitori, con i quali è risultato convivente a tutt’oggi, avrebbe potuto effettuare le indagini, intervenute solo nel 2006”; f) doveva, pertanto, reputarsi compiuto il termine di prescrizione, “quand’anche lo stesso venga ritenuto decennale”.

La decisione viene impugnata in Cassazione.

La Corte di Appello, a fondamento della decisione in sede di revocazione, osservava che: a) gli errori addebitati al C.T.U. e di conseguenza al giudice – nel ritenere che “l’accertamento eziologico della ipoacusia neurosensoriale bilaterale, in particolare della sua riconducibilità a patologia neonatale, fosse comunque eseguibile con la comune diligenza molto prima del 2006, oltre ad essere comunque verosimile in relazione al ritardo psicomotorio da cui l’attore era stato affetto nei primi anni di vita” – non costituivano errori revocatori, bensì “valutazioni espresse dall’ausiliario nonché dal giudice nella individuazione del tempo di decorrenza del termine prescrizionale”; b) né era configurabile come errore la denunciata “omessa ponderazione dell’accertamento della Commissione di Invalidità Civile e del suo successivo verbale, in quanto da un lato esiste relativa citazione nella motivazione della sentenza, dall’altro lato trattasi di argomento da cui si desume conferma di conoscibilità da lunga data della causa neonatale dell’infermità”.

Il ricorrente sostiene che il Giudice di appello avrebbe reputato non condivisibili le argomentazioni difensive attoree (per cui solo nel 2006, in occasione di effettuazione di una risonanza magnetica, era stato possibile accertare la causa della ipoacusia neurosensoriale bilaterale nella ipossia fetale) pur mancando di omettere qualsiasi accertamento sullo “stato delle conoscenze scientifiche dell’epoca”, quale parametro di valutazione che era stato oggetto di quesito al C.T.U. in primo grado e che non aveva trovato risposta nella Consulenza tecnica.

Con il secondo motivo sostiene omesso esame di un fatto decisivo consistente nelmancato accertamento  – oggetto di quesito al C.T.U. che non ha avuto risposta – “che, dall’epoca della nascita, la risonanza non era utilizzata, secondo il livello di conoscenze scientifiche, al fine di diagnosticare la causa neonatale della sordità, e che tale utilizzo è avvenuto solo a partire dagli anni 2000”.

Le due doglianze sono fondate.

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere non dal momento in cui il fatto si verifica nella sua materialità e realtà fenomenica, ma da quando esso si manifesta all’esterno con tutti i connotati che ne determinano l’illiceità.

Sicché, l’exordium praescriptionis, “coincide con il momento in cui viene ad emersione il completamento della fattispecie costitutiva del diritto, da accertarsi, rispetto al soggetto danneggiato, secondo un criterio oggettivo di conoscibilità della etiopatogenesi e un tale principio è da ribadirsi anche rispetto alla fattispecie dedotta in giudizio, in cui si assume che la ipoacusia neurosensoriale bilaterale della quale è affetto il ricorrente abbia avuto origine neonatale, per ipossia fetale, quale causa che l’attore ha dedotto di aver potuto conoscere soltanto nel 2006, a seguito di risonanza magnetica, quale esame diagnostico ritenuto solo di recente acquisizione”.

Per tale ragione, la Corte di Appello, è incorsa in un vizio di sussunzione e ciò proprio in ragione del mancato accertamento del dato oggettivo della diffusione delle conoscenze scientifiche in relazione all’esistenza del nesso causale tra la sordità bilaterale e la ipossia fetale che si assume patita dal ricorrente in occasione della nascita.

Il ricorso viene accolto e la decisione cassata con rinvio alla Corte di appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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