Per la Cassazione, in seno alla responsabilità sanitaria, chance patrimoniale e non patrimoniale vanno individuate nella diversità della situazione preesistente

Giuridicamente la chance è una effettiva occasione di conseguire un determinato bene. E’ un’entità suscettibile di autonoma valutazione di creazione giurisprudenziale nell’alveo del danno patrimoniale. Da oltre un decennio la perdita della chance patrimoniale al verificarsi dell’illecito configura un’autonoma voce di danno poiché presente nel patrimonio del danneggiato quando si verifica l’illecito. Tale perdita deve essere commisurata al venir meno della possibilità di conseguire un determinato risultato. (Cass. 29/11/2012 n. 21245)

La domanda di risarcimento del danno patrimoniale per perdita di chance è ontologicamente diversa da quella di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato, perché in questo secondo caso l’accertamento è incentrato sul nesso causale del mancato guadagno, mentre nel primo l’oggetto dell’indagine è un particolare tipo di danno, e segnatamente una distinta ed autonoma ipotesi di danno emergente, incidente su di un diverso bene giuridico, quale la mera possibilità del risultato finale.

Si profila quindi la nota, quanto dibattuta, dicotomia del danno patrimoniale in danno emergente / lucro cessante.

Per ricostruire, accertare e quantificare questo tipo di danno, sono state elaborate due opposte teorie: quella eziologica e quella ontologica.

Secondo la tesi che ricostruisce la chance in chiave eziologica, quest’ultima si configura come “occasione persa” intesa in termini di lucro cessante. Diversamente, la tesi che ricostruisce la chance in chiave ontologica la qualifica in termini di danno emergente, come posta attiva già esistente nel patrimonio del soggetto che “non va configurato come danno futuro, legato alla ragionevole probabilità di un evento, ma come danno concreto, attuale, certo, ricollegabile alla perdita di una prospettiva favorevole, già presente nel patrimonio del soggetto”.

Il danno da perdita di una chance sfavorevole è risarcibile solo qualora il danneggiato dimostri, anche in via presuntiva, il collegamento causale tra fatto e ragionevole probabilità di conseguire il risultato utile.

La chance, in altri termini, per essere risarcita deve consistere in un’elevata probabilità di successo e non in una mera possibilità di ottenere un risultato favorevole (Cass. 4400/2004).

Come già detto, è una posta risarcitoria già presente nel quadro patrimoniale del danneggiato ancor prima dell’evento lesivo. Conseguentemente dopo avere subito l’evento lesivo si configura per il danneggiato un danno attuale.

Ciò che viene leso è la legittima aspettativa del danneggiato.

Nella valutazione del nesso di causalità tra fatto illecito e danno da perdita di chance, la giurisprudenza segue il criterio della probabilità ritenendo necessario che “venga fornita la prova, in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, della realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e precluso dalla condotta illecita di cui il danno risarcibile deve essere immediata e diretta conseguenza” (Cass. 23240/2011).

Il fulcro del nesso di causalità nella valutazione della perdita di chance è quindi costituito dalle probabilità perdute quando viene dimostrato che un evento illecito abbia causato la perdita di occasioni di raggiungere un risultato utile.

Ne consegue che il danneggiato per vedere accolta la domanda di risarcimento avrà l’onere di provare di avere avuto una chance e di non averla potuta cogliere. Detto in altri termini, deve dimostrare di avere avuto una ragionevole probabilità di verificazione della stessa.

Il danno liquidato non sarò eguale al guadagno atteso e sperato perché la chance costituisce un bene diverso.

Tuttavia, un filone della Suprema Corte ha argomentato che “la perdita di una chance favorevole non costituisce un danno diverso ma soltanto se la chance perduta aveva la certezza o l’elevata probabilità di avveramento da desumersi in base ad elementi certi ed obiettivi” (Cass. 22366/2012; 6488/2017).

Essendo la perdita di chance di matrice giurisprudenziale non è rinvenibile una definizione univoca. Solo di recente la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2018 n. 5641) ha affermato “che essa risponde ad una scelta, hic et nunc, di politica del diritto, la cui risarcibilità consente …[..].. di temperare equitativamente il criterio risarcitorio dell’all or nothing”.

Invero, quello che oggi viene indicato come “all or nothing” non è altro che una rivisitazione, certamente più suggestiva, di quanto predicato negli ultimi quindici anni da dottrina e giurisprudenza, ovverosia che “il danno deve essere interamente risarcito in tutti i suoi aspetti”, evitando chiaramente risarcimenti duplicatori e bagatellari.

Questo pensiero, del resto, è stato cristallizzato nella celeberrima sentenza del 2008 “sul danno esistenziale” (Cass. 26792/2008).

Nella materia sanitaria la connotazione della perdita di chance è stata rinvenuta nei casi di “diagnosi tardive” e di “riduzione delle chance di più lunga sopravvivenza”.

Numerosi sono stati nel 2018 gli interventi dei Supremi Giudici riguardo la perdita di chance i quali hanno anche chiarito che “la morfologia e l’oggetto della (supposta) chance perduta ha ad oggetto (una lesione e) un danno non patrimoniale…[..].. il modello teorico della perdita di chance è stato e tuttora resta il danno patrimoniale, dibattuta essendone la sola forma -e cioè quella di danno emergente piuttosto che di lucro cessante-….[….]…. e quando l’evento di danno è costituito dalla mancanza del risultato, e non dalla possibilità (mancata) di un risultato sperato, non è corretto parlare di chance perduta perché si tratta di altro e diverso evento di danno”.

Nel corso del 2018, come detto, si sono registrati interventi di legittimità significativi (Cass. 29829/2018) in merito al danno da perdita di chance di maggiore sopravvivenza e da peggioramento della qualità della vita residua e al suo nesso con le condotte negligenti, ed è stato evidenziato che “il concetto di chance postula un ‘incertezza del risultato sperato e non già il mancato risultato stesso” e ”il risarcimento, in caso di perdita di chance non patrimoniale, non potrà essere proporzionale al risultato perduto ma andrà commisurato, in via equitativa, alla “possibilità perduta” di realizzarlo”.

Ciò, evidentemente, perché è privo di logica – oltrechè pericoloso- veicolare il mancato risultato in una prestazione d’opera professionale che non è obbligazione di “risultato”, bensì di “mezzi”.

Ed ancora (Cass. 25727/2018) ha specificato che il danneggiato per l’ottenimento del ristoro da perdita di chance ha l’onere di provare la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.

Come detto inizialmente il danno da perdita di chance è nato nell’alveo del danno patrimoniale; solo nel corso di questo ultimo decennio la giurisprudenza ha cercato di armonizzarlo coi principi della responsabilità civile e del nesso causale.

Interessante al riguardo si rivela la pronunzia n. 5641/2018 che evidenzia la “difficile trasposizione” del concetto di perdita di chance nel danno non patrimoniale.

Secondo tale pronunzia “la chance patrimoniale postula la preesistenza di un quid su cui va ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante impedendone la possibile evoluzione migliorativa, così non è nell’area del danno non patrimoniale rappresentata anch’essa (e segnatamente nel sottosistema della responsabilità sanitaria), sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente, ma morfologicamente diversa rispetto alla prima: la presenza del sanitario, infatti, rappresenta una chance per il miglioramento delle condizioni di vita del paziente “prima ancora della sua cancellazione colpevole”.

Manca, cioè, nel caso della condotta del medico, un qualcosa, inteso come preesistenza di una situazione “positiva” che invece è peggiorata dalla condotta colpevole (il paziente è portatore di una condizione di salute che, prima dell’intervento del medico, rappresenta un pejus, e non un quid in positivo, sul piano della chance).

Questa diversità fattuale incide poi sulla liquidazione perché solo nel danno patrimoniale l’accertamento della chance può essere legato a valori oggettivi mentre nel danno non patrimoniale dovrà verificarsi la possibilità perduta di realizzo.

Inoltre, la Corte evidenzia che la qualificazione del danno come possibilità perduta non esclude, in nessun caso, la necessità di verificare il nesso causale tra condotta ed evento.

Tali importanti concetti sono stati sviscerati con estrema chiarezza nella recente pronunzia N. 28993 dell’11/11/2019, sempre della Terza sezione.

La Cassazione definisce l’evoluzione storica della perdita di chance frutto di un ragionamento errato.

Difatti osserva il Consesso: “Il duplice paralogismo che ha accompagnato l’evoluzione storica della teoria della chance perduta si rivolge nel ricostruirne, da un canto, i tratti caratterizzanti in termini di danno patrimoniale, dall’altro, nell’avere sovrapposto uno degli elementi essenziali della fattispecie dell’illecito -il nesso causale- con il suo oggetto – il sacrificio della possibilità di un risultato migliore – tanto da indurre autorevole dottrina a contestarne in radice la legittimità della sua stessa esistenza”.

Il modello patrimonialistico della chance non è sovrapponibile alla perdita della possibilità di conseguire un risultato migliore sul piano non patrimoniale.

Egualmente non sovrapponibile il criterio di liquidazione per la perdita di una chance a carattere non patrimoniale rispetto a quello a carattere patrimoniale. Nella prima il risarcimento non dovrà essere “proporzionale” al risultato perduto, bensì quantificato equitativamente alla (concreta) possibilità perduta di realizzarlo.

In definitiva la chance in materia sanitaria “si sostanzia nell’incertezza del risultato, la cui “perdita” è il precipitato di una chimica di insuperabile incertezza predicabile alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo rapportate alle condizioni soggettive del danneggiato”.

La sentenza, più chiaramente, disegna alcune ipotesi verificabili in ambito sanitario:

  • se la condotta colpevole del sanitario cagiona la morte del paziente, quello sarà chiamato a rispondere di danno biologico cagionato al paziente e danno da lesione del rapporto parentale cagionato ai familiari;
  • se la condotta colpevole non ha cagionato la morte del paziente, ma una significativa riduzione della sua vita ed una peggiore qualità della stessa, il sanitario sarà chiamato a rispondere dell’evento di danno costituito dalla minor durata della vita e dalla sua peggior qualità, “senza che tale danno integri una fattispecie di perdita di chance”;
  • se la condotta del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata, sulla qualità della vita medio tempore e sull’esito finale non sarà dovuto alcun risarcimento;
  • se la condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto, tale possibilità sarà risarcita equitativamente come possibilità perduta -se provato il nesso causale – ove si verifichino conseguenze pregiudizievoli che presentino la dimensione di apprezzabilità, serietà e consistenza.

L’incertezza del risultato, specifica la Suprema Corte, è “destinata a incidere non sulla analisi del nesso causale ma sulla identificazione del danno poiché la possibilità perduta di un risultato sperato è la qualificazione di un danno risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante”…..”In tal senso la chance è da risarcirsi equitativamente e non necessariamente quale frazione eventualmente percentualistica del danno finale”.

Pertanto, prosegue il Consesso, quando risulta provato sul piano eziologico che la condotta imperita del sanitario abbia causato la morte anticipata del paziente per un periodo specificamente indicato dal CTU, non si deve discorrere di maggiori chance di sopravvivenza ma di minore durata della vita e della sua peggiore qualità.

Così facendo non si incorrerà nel rischio di confondere il grado di incertezza della chance perduta con il grado di incertezza sul nesso causale.

Il nesso causale sarà escluso -a prescindere dall’esistenza della possibilità di un risultato migliore- dalla presenza di fattori alternativi che ne interrompano la relazione logica con l’evento.

In altri termini, provato il nesso causale secondo le ordinarie regole, il risarcimento di quel danno deve essere riconosciuto integralmente. Qualora il danno venga morfologicamente identificato, in “una dimensione di insuperabile incertezza con una possibilità perduta”, tale possibilità integra gli estremi della chance la cui risarcibilità consente, appunto, di “correggere” in modo equitativo il criterio del risarcimento integrale (c.d. all or nothing), senza andare a incidere sui criteri di causalità.

In conclusione chance patrimoniale e chance non patrimoniale derivano dalla stessa natura. In seno alla responsabilità sanitaria chance patrimoniale e non patrimoniale vanno individuate nella diversità della situazione preesistente.

Se vi è preesistenza negativa si discorre di chance non patrimoniale.

Se vi è preesistenza positiva trattasi di chance patrimoniale.

Avv. Emanuela Foligno

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