Nella valutazione della perdita della capacità lavorativa della ciclista investita, il CTU non è vincolato a recepire le conclusioni del Medico del lavoro (Tribunale di Busto Arsizio, Sez. III civile, sentenza n. 284/2021 del 1 febbraio 2021)

La ciclista investita cita a giudizio proprietario e compagnia assicuratrice del veicolo da cui veniva urtata chiedendo il risarcimento dei danni nella misura complessiva di euro 477.044,59.

Espone l’attrice che, mentre conduceva la propria bicicletta sulla strada che dal parcheggio delle Poste conduce in via Dante Alighieri, si scontrava con l’autovettura riportando lesioni personali.

La vittima lamenta sia il danno non patrimoniale, sia il danno patrimoniale costituito dalle conseguenze della perdita del lavoro dovuta alla malattia contratta a seguito del sinistro e precisa di avere incamerato dall’Inail per infortunio in itinere l’indennizzo di euro 21.216,90.

La causa viene istruita con l’espletamento di interrogatorio formale dei convenuti, prova testimoniale e CTU medico-legale.

In punto di responsabilità, il Tribunale attribuisce una corresponsabilità paritaria al conducente del veicolo e alla ciclista in quanto nessuna delle parti ha fornito la prova contraria per sottrarsi al rigore della presunzione di cui all’art. 2054 c.c., secondo comma.

L’attrice non ha provato di essersi attenuta ai canoni di prudenza, perizia e diligenza, percorrendo un’area pedonale (il marciapiede) e fuoriuscendone senza provare di avere verificato se sopraggiungevano altri veicoli, se la velocità era adeguata alle circostanze, tenendo anche conto della presenza di altri autoveicoli parcheggiati che ostacolavano la visuale.

La conducente dell’auto non ha provato di non avere avuto il tempo di arrestare il veicolo al momento dell’incrocio con la bicicletta e di uscire dall’area di parcheggio a velocità estremamente ridotta come le circostanze imponevano.

Ciò posto, venendo al ristoro dei danni patiti dalla ciclista, la CTU ha accertato “trauma contusivo diretto al ginocchio sinistro produttivo di frattura scomposta dell’emipiatto tibiale esterno”, con giorni 27 di ITA, giorni 150 in forma parziale al 75%; giorni 140 in forma parziale al 50% e giorni 140 in forma parziale al 25% .

L’invalidità permanente è stata quantificata nel 18%, tenendo conto che nel 2015 la danneggiata si sottoponeva, con esito favorevole, ad intervento di artroprotesi reso necessario dalle conseguenze lesive.

Nulla viene riconosciuto dal Tribunale a titolo di personalizzazione per l ‘impedimento allo svolgimento di attività ludico-sportive.

Al riguardo il Tribunale osserva che la personalizzazione invocata può essere applicata – con motivazione analitica e non stereotipata – solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari che devono essere dettagliatamente allegate dal danneggiato.

Per contro, le conseguenze ordinarie derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna personalizzazione in aumento.

Le circostanze allegate dalla danneggiata individuano semplici aspetti dinamico -relazionali del danno alla salute subito, in termini di perdita della possibilità di svolgimento di talune attività – di carattere ludico-creativo, in precedenza svolte, la cui limitazione deriva in via ordinaria dalla tipologia e gravità delle lesioni accertate e non assume alcuna connotazione di specificità, straordinarietà e eccezionalità.

Inoltre, osserva il Tribunale, provare che il danneggiato non possa più svolgere una determinata attività svolta in precedenza non comporta, automaticamente, il riconoscimento di un surplus rispetto al punto base di invalidità, occorrendo dimostrare – anche solo in via indiziaria – un vulnus alla sfera personale implicante un’alterazione apprezzabile e peggiorativa della vita di relazione, non compensata e non compensabile.

Viene, invece, riconosciuta la maggiore usura lavorativa accertata dal CTU e per i numerosi interventi subiti, in misura pari al 15% .

Il danno alla persona viene liquidato in complessivi euro 88.857,00, diminuita ad euro 44.428,50 per la corresponsabilità del 50% nella causazione del sinistro.

Relativamente al danno patrimoniale, l’attrice invoca il riconoscimento della perdita dell’attività lavorativa causata dal superamento del periodo di comporto e dalla inidoneità a svolgere le proprie mansioni di addetta alle pulizie come certificato dal Medico del Lavoro in data 21.6.2016.

Ebbene, il nesso di causalità tra cessazione del rapporto di lavoro subordinato e conseguenze lesive del sinistro non viene considerato sussistente.

Il Certificato del Medico del Lavoro, privo di qualsiasi argomentazione medico -legale, non è dirimente in presenza della diversa valutazione formulata dal CTU basata sulla visita dell’attrice e sulla constatazione della sostanziale assenza di deficit funzionali dell’arto.

Secondo il CTU i residui dopo l’intervento di artoprotesi non impediscono lo svolgimento delle mansioni di addetta alle pulizie, comportando unicamente una maggiore usura lavorativa.

E’ irrilevante l’errore del CTU nell’indicazione della data dell’attestazione di inidoneità e nel mancato riconoscimento della posteriorità dell’attestazione rispetto all’intervento di artroprotesi, avvenuto in data 3.3.2015.

Rileva unicamente che il CTU abbia valutato le condizioni dell’attrice e la compatibilità delle stesse con lo svolgimento delle mansioni, non essendo vincolato a recepire le conclusioni del Medico del lavoro.

Inoltre, il licenziamento è avvenuto ad oltre un anno di distanza dall’intervento di artroprotesi, quando il programma riabilitativo successivo poteva ritenersi concluso favorevolmente.

L’attrice, in buona sostanza, non ha provato che le mansioni di addetta alle pulizie implicassero un forte impatto sulla protesi tanto da risultare sconsigliate o addirittura incompatibili.

Oltretutto, le mansioni di addetta alle pulizie non implicano, in via generale, il trasporto di carichi pesanti o l’assunzione di posture gravose.

Per tali ragioni non viene riconosciuta nessuna invalidità lavorativa specifica e nessuna perdita di reddito derivante dalle lesioni.

Infine, l’Assicurazione convenuta ha dedotto di avere subito il regresso dell’Inail in relazione al versamento di un indennizzo pari a euro 24.287,37.

Tale importo deve essere detratto dal risarcimento dovuto, unitamente all’importo di euro 34.139,45 già versato alla danneggiata dall’Assicurazione.

Ne consegue la piena soddisfazione delle pretese risarcitorie dell’attrice già in epoca anteriore all’inizio del presente giudizio.

La domanda attorea viene quindi rigettata e la donna viene condannata al pagamento delle spese di lite e di CTU.

Avv. Emanuela Foligno

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