La colpa del medico e la nuova giurisprudenza di Cassazione. Un concetto non chiaro: la differenza tra colpa del medico e nesso di causa tra inadempimento e danno lamentato

Ma esiste veramente un diverso significato tra la colpa del medico e la dimostrazione del nesso di causalità tra l’inadempimento o inesatto adempimento del medico e il danno lamentato dal paziente?

Sembrerebbe di si se si legge la giurisprudenza di Cassazione e non solo.

E’ un principio affermato che:

“…La previsione dell’art. 1218 c.c., infatti, esonera il creditore dell’obbligazione asseritamente non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui si chiede il risarcimento…”.

Dal tenore dell’esposizione, come suddetto, sembrerebbe che esista una differenza.

Ma è sempre la Suprema Corte di Cassazione ad affermare che:

“…Tali conclusioni non contrastano con quanto affermato dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. 11/1/2008, n. 577), secondo cui <in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante>. Tale principio venne infatti affermato a fronte di una situazione in cui l’inadempimento “qualificato”, allegato dall’attore (ossia l’effettuazione di un’emotrasfusione) era tale da comportare di per sè, in assenza di fattori alternativi “più probabili”, nel caso singolo di specie, la presunzione della derivazione del contagio dalla condotta. La prova della prestazione sanitaria conteneva già quella del nesso causale, sicchè non poteva che spettare al convenuto l’onere di fornire una prova idonea a superare tale presunzione secondo il criterio generale di cui all’art. 2697 c.c., comma 2, e non la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c…”.

L’attento lettore non potrà non notare come per “colpa del medico” non può che intendersi uno specifico e ben qualificato errore e come nesso di causalità tra inesatto adempimento del medico e danno lamentato si debba intendere una possibilità che tra un inadempimento qualificato e un danno ci sia scientificamente un “possibile” collegamento eziologico.

Quindi esiste una perfetta differenza che, comunque, afferma il “vecchio” principio scaturito dalle sezioni unite del 2008 in cui si faceva leva sull’inadempimento in astratto adeguato a produrre il danno e non su una qualificazione “specifica” dell’errore medico.

Dunque nulla è cambiato con la sentenza Scoditti del luglio 2017,che non ha prodotto alcun “terremoto” giuridico, in quanto gli oneri probatori delle parti non sono cambiate per nulla, come affermato dalla recente sentenza del tribunale di Taranto del maggio 2019 di cui si è parlato su queste pagine.

Ma molto c’è da discutere su tale argomento per liberare le menti da ogni nebulosità sulle relazioni causali nella “nuova” responsabilità sanitaria.

Dr. Carmelo Galipò

(Pres. Accademia della Medicina Legale)

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