Colpa lieve per imperizia: con la sentenza n. 8770 depositata il 22 febbraio 2018, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno risolto (!) il conflitto giurisprudenziale creatosi all’interno della IV Sezione

Il contrasto riguardava l’applicazione della Legge n. 24 del 2017 (Legge Gelli Bianco), che, abrogando la previgente disciplina della L. n. 189 del 2012 (decreto Balduzzi), ha ridefinito i limiti della colpa medica ( colpa lieve ) a fronte del rispetto delle linee-guida dettate in materia e ha consentito di individuare quella che è la legge più favorevole da applicare.

I fatti

Il giudice di prime cure condanna un neurochirurgo per i danni causati al paziente a seguito di un comportamento omissivo caratterizzato da negligenza, imprudenza, imperizia e consistito nel non aver tempestivamente diagnosticato allo stesso la sindrome della compressione della cauda equina. Tale mancata diagnosi ha causato un notevole ritardo nell’esecuzione dell’intervento, affrontato da altro medico specialista successivamente interessato dal paziente, per il quale, invece, in base alle regole cautelari di settore, era necessario intervenire con urgenza.

La sentenza viene confermata dalla Corte territoriale.

Rilevato il contrasto, il Presidente della Corte investe le Sezioni Unite di dirimere la seguente questione giuridica: «quale sia, in tema di responsabilità colposa dell’esercente la professione sanitaria per morte o lesioni personali, l’ambito di esclusione della punibilità previsto dall’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24».

Le decisioni all’origine del contrasto

La pronuncia in commento si sofferma su i due orientamenti maturati all’interno della IV Sezione Penale, che hanno dato origine al contrasto ossia, quello sostenuto dalla sentenza n. 20187 del 2017, in base al quale viene esclusa tassativamente l’interpretazione letterale della nuova fattispecie, che prevede che  il sanitario che si attiene alle linee guida accreditate, che risultino anche adeguate alla specifico caso concreto, va esente da responsabilità.

In particolare, nel su citato provvedimento viene affermato che la disciplina della Legge Gelli Bianco non può venire applicata: 1)  a tutti quelli ambiti che, per qualsiasi motivo, non siano governati da linee-guida; 2) nelle situazioni concrete in cui le linee guida debbano essere interamente  disattese in virtù delle peculiarità della condizione del paziente o per qualsiasi altro motivo dettato da esigenze scientificamente qualificate; 3) con riferimento alle condotte che, se anche poste in essere nell’ambito di approccio terapeutico regolato da linee guida pertinenti ed appropriate, non risultino affatto disciplinate in quel contesto di regole ovvero siano caratterizzate da negligenza o imprudenza ma non da imperizia.

In tutti gli altri casi, seguendo tale orientamento, il riferimento alle linee-guida non è altro se non il parametro  necessario per individuare, graduare ed escludere la colpa in base alle regole generali, quando la colpa stessa sia una conseguenza diretta dell’imperizia.

Per ciò che attiene il regime intertemporale, la decisione individua la disciplina più favorevole nel Decreto Balduzzi.

Il secondo orientamento viene espresso nella sentenza della Suprema Corte n. 50078 del 2017 che, seguendo il criterio dell’interpretazione letterale della norma, statuisce che la nuova legge introduce una causa di esclusione della punibilità, che esula dall’area di operatività del principio di colpevolezza.

La conseguenza di tanto è che il secondo comma dell’art. 590 sexies c.p., come introdotto dalla legge Gelli-Bianco, prevede una causa di non punibilità del sanitario operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa, nel solo caso di imperizia,  e indipendentemente dal grado della colpa, ritenendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell’applicazione delle stesse.

Questa seconda decisione per ciò che concerne il profilo intertemporale, ritiene che il decreto Balduzzi possa considerarsi disposizione più favorevole unicamente  per i reati consumatisi sotto la sua vigenza coinvolgenti profili di negligenza ed imprudenza qualificati da colpa lieve.

Il parere delle Sezioni Unite

Per le Sezioni Unite in ognuna delle due contrastanti decisioni si trovano ”molteplici osservazioni condivisibili, in parte anche comuni, ma ciò che difetta è una sintesi interpretativa complessiva capace di restituire la effettiva portata della norma de qua”.

Ed infatti il primo provvedimento (Cass., Sez. IV Penale,  n. 20187 del 2017),  evidenzia i limiti applicativi alla causa di non punibilità enunciati dall’art. 590 sexies c.p., che non si applicano nei casi di colpa per imprudenza o negligenza, quando l’atto sanitario non sia affatto regolamentato da linee-guida o da buone pratiche o quando queste siano individuate e dunque selezionate dal sanitario in maniera inadeguata con riferimento al caso concreto

Tale decisione però non identifica nessun residuo spazio operativo per la causa di non punibilità, offrendo, in tal modo una interpretazione abrogatrice della norma, che di fatto contrasta con quella che è l’intenzione della legge.

La  seconda sentenza ( Cass., Sez. IV Penale n. 50078 del 2017), se da un lato  non si discosta  in modo evidente  dalla lettera della legge, dall’altro,  valorizzandola in modo assoluto, cade nell’errore opposto poiché attribuisce ad essa una portata applicativa impropriamente vasta, ovvero quella di rendere non punibile qualsiasi condotta connotata da imperizia del sanitario che abbia provocato la morte o le lesioni, anche se contraddistinta da colpa grave.

Sostiene la Suprema Corte che “invero proprio partendo dalla interpretazione letterale, non può non riconoscersi che il legislatore abbia coniato una inedita causa di non punibilità per fatti da ritenersi inquadrabili – per la completezza dell’accertamento nel caso concreto – nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 c.p., quando l’esercente una delle professioni sanitarie abbia dato causa ad uno dei citati eventi lesivi, versando in colpa da imperizia e pur avendo individuato e adottato, nonché, fino ad un certo punto, bene attualizzato le linee-guida adeguate al caso di specie” e che “la previsione della causa di non punibilità, è esplicita, innegabile e dogmaticamente ammissibile non essendovi ragione per escludere apoditticamente – come fa la sentenza De Luca-Tarabori – che il legislatore, nell’ottica di porre un freno alla medicina difensiva e quindi meglio tutelare il valore costituzionale del diritto del cittadino alla salute, abbia inteso ritagliare un perimetro di comportamenti del sanitario direttamente connessi a specifiche regole di comportamento a loro volta sollecitate dalla necessità di gestione del rischio professionale: comportamenti che, pur integrando gli estremi del reato, non richiedono, nel bilanciamento degli interessi in gioco, la sanzione penale, alle condizioni date”.

Le Sezioni Unite sottolineano che era il decreto Balduzzi, non messo in discussione dalla giurisprudenza passata sotto il profilo della tecnica legislativa, ad agire sul terreno della delimitazione della colpa che dà luogo a responsabilità, circoscrivendo la operatività dei principi posti dall’art. 43 c.p. e dunque derogando ad essa, tanto che il risultato è stato ritenuto quello della parziale abolitio criminis.

Al contrario, la legge Gelli-Bianco non deroga ai suddetti principi generali, ma si muove sul terreno della specificazione, ricorrendo all’inquadramento nella non punibilità, sulla base di un bilanciamento ragionevole di interessi concorrenti.

Il contrasto della c.d. medicina difensiva

La Suprema Corte sottolinea come oggi, diversamente rispetto al passato, l’intervento protettivo del legislatore sia direttamente connesso con la ragione ispiratrice della riforma, ossia l’intento di contrastare  la c.d. medicina difensiva e con essa il pericolo per la sicurezza delle cure e dunque creare un’area di non punibilità che valga a restituire al sanitario la serenità dell’affidarsi alla propria autonomia professionale e, per l’effetto, ad agevolare il perseguimento di una garanzia effettiva del diritto costituzionale alla salute.

Secondo  le Sezioni Unite la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del legislatore del 2017 non impedisce una ricostruzione della norma che ne tenga conto, sempre che questa sia l’espressione di una ratio compatibile con l’esegesi letterale e sistematica del comando espresso.

In questa ottica sembra opportuno giovarsi, in primis, dell’indicazione proveniente dall’art. 2236 c.c., così come riconosciuto dal più recente orientamento delle sezioni penali, che ha la valenza di principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l’addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione del genere di problemi sopra evocati ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza.

In conclusione i Supremi Giudici ritengono che la colpa del sanitario possa essere esclusa in base alla verifica dei noti canoni oggettivi e soggettivi della configurabilità del rimprovero e altresì in ragione della misura del rimprovero stesso ed  hanno affermato i seguenti principi di diritto:

L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:

a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;

b) se l’evento siè verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;

c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;

d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.

Quanto al regime più favorevole per il sanitario, le Sezioni Unite, operando un confronto tra il contenuto precettivo tra l’art. 3 abrogato del decreto Balduzzi e l’art. 590 sexies c.p.,  hanno individuato i casi immediatamente apprezzabili ed hanno ritenuto più favorevole la norma abrogata: 1) in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario, commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve; 2) nell’ambito della colpa da imperizia, in caso di errore determinato da colpa lieve, che sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida e cioè su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida.

Le Sezioni Unite osservano, poi, che un trattamento sostanzialmente analogo è invece riservato, sempre per ciò che attiene la colpa da imperizia, all’errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa, che andava esente per il decreto Balduzzi ed è oggetto di causa di non punibilità in base all’art. 590 sexies c.p., risultando in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla attività del giudice penale che deve decidere nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi precedentemente rispetto alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere all’assoluzione.

Per completezza si segnala anche che nel corso dell’udienza davanti alle Sezioni Unite, il sostituto procuratore presso la Corte di Cassazione, aveva chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 590 sexies c.p. ed infatti nella sua requisitoria ha osservato che:

L’attività esegetica, giurisprudenziale o dottrinaria che sia, quand’anche orientata al rispetto della Costituzione, non può fare miracoli, non può arrivare a coprire tutto, soprattutto quando la lettera della legge, appunto, si presenti ostile. E questo è uno di quei casi in cui lo è. La graduabilità della colpa per imperizia, in altri termini, non è scritta nella nuova norma ed è arduo volere leggere a tutti i costi laddove la norma non dice.  Ed allora, è per questo che si ritiene di dover suggerire di seguire la strada della Corte Costituzionale. La questione di legittimità costituzionale è non manifestamente infondata perché la norma è in contrasto, come sopra specificato, con le norme di cui agli art. 2, 3, 24, 25, 27, 32, 101, 102 e 111 Cost.. Essa, inoltre, nella specie, è chiaramente rilevante, atteso che il caso che ci occupa si esaurisce tutto proprio in una colpa per imperizia”.

 

Avv. Maria Teresa De Luca

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