La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di arresto disposta a carico del soggetto indagato colto in flagranza mentre tentava di riscuotere l’assegno clonato frutto di una truffa online, che nel frattempo aveva depositato sul conto della suocera

La vicenda

Il Tribunale di Ferrara aveva convalidato l’arresto eseguito nei confronti dell’indagato nella flagranza del delitto di truffa e, aveva altresì applicato la misura della custodia cautelare in carcere e l’ordine di procedersi nelle forme del rito direttissimo.

Da quanto emerso, l’indagato, operando in concorso con la suocera, aveva posto in essere una truffa online dapprima pubblicando su un sito internet un annuncio di vendita di una autovettura per l’importo di Euro 18.400; e poi, facendosi inviare la foto di un assegno circolare emesso per quell’importo da parte della persona offesa.

Clonato l’assegno mediante la foto ricevuta, l’uomo si era recato in banca con la suocera per depositarne l’importo sul conto corrente di quest’ultima, per poi effettuare molteplici prelievi.

Tali ripetute operazioni avevano suscitato i sospetti di una impiegata che nel frattempo aveva avvertito i Carabinieri i quali lo avevano tratto in arresto nel momento immediatamente successivo al prelievo della somma di 1.000 euro oltre a quella di 2.765 euro in contanti già in suo possesso.

Il ricorso per Cassazione

Secondo la difesa l’arresto non poteva essere convalidato in quanto avvenuto illegittimamente al di fuori dello stato di flagranza, atteso che il reato di truffa si era perfezionato e compiutamente consumato con l’accreditamento della somma portata dall’assegno circolare “clonato” sul conto corrente della suocera.

La Corte di Cassazione ha già chiarito che la truffa contrattuale realizzata attraverso la vendita di beni “on line”, in cui il pagamento eseguito dalla parte offesa avvenga tramite bonifico bancario con accredito su conto corrente, si consuma nel luogo ove l’agente consegue l’ingiusto profitto tramite la riscossione della somma e non già in quello in cui viene data la disposizione per il pagamento da parte della persona offesa (Cass. Pen., 2, 16.11.2017 n. 54.948).

Il reato di truffa contrattuale

Più in generale, è stato chiarito che la truffa è un reato istantaneo e di danno, che si perfeziona nel momento in cui alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore abbia fatto seguito la “deminutio patrimonii” del soggetto passivo; di conseguenza, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della “datio” di un bene patrimoniale, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del soggetto raggirato; per cui, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello dell’acquisizione, da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poiché solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della parte offesa.

Detto in altri termini, quando il reato di truffa ha come oggetto immediato il conseguimento di assegni bancari, il danno si verifica nel momento in cui i titoli vengono posti all’incasso ovvero (laddove possibile) usati come normali mezzi di pagamento, mediante girata, a favore di terzi i quali, portatori legittimi, non sono esposti alle eccezioni che il traente potrebbe opporre al beneficiario: in entrambi i casi, infatti, si verifica una lesione concreta e definitiva del patrimonio della persona offesa, inteso come complesso di diritti valutabili in denaro.

La decisione

Nel caso di specie la “riscossione” dell’assegno (“clone” dell’assegno) era intervenuta con l’accreditamento dell’importo portato dal titolo sul conto della suocera dell’indagato e, correlativamente, con l’addebito della medesima somma a carico dell’ignara vittima; ed invero, la “deminutio patrimonii” della vittima si era già verificata al momento del versamento dell’assegno sul conto corrente.

Le riscossioni parziali della provvista proveniente dal patrimonio della persona offesa erano dunque successive alla consumazione del reato e non potevano in alcun modo giustificare il protrarsi di una situazione di flagranza.

Né tanto meno poteva ritenersi uno stato di “quasi flagranza” che, come è noto, ricorre quando l’arresto è operato dalla polizia giudiziaria sulla base della immediata ed autonoma percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato.

Al riguardo, la Cassazione (Seconda Sezione Penale, sentenza n. 48987/2019) ha affermato che “l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto è illegittimo, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di “quasi flagranza”, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato”.

Per tutte queste ragioni, l’ordinanza di convalida di arresto è stata annullata senza rinvio.

La redazione giuridica

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