La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte è se la mancanza della procura alle liti in capo all’avvocato rilevi ai fini del diritto al compenso o se invece, possa ritenersi sufficiente il perfezionamento di un contratto di mandato
Nel caso di specie non vi era alcun contratto di mandato, ma una semplice procura per la domiciliazione. Ne deriva che per i giudici della Cassazione l’avvocato non ha diritto al compenso
La vicenda
Il Giudice di pace di Verona, accoglieva l’opposizione proposta da un cliente avverso il decreto ingiunto dall’avvocato per il pagamento dell’importo di Euro 2.888,27 per compensi professionali, ritenendo non assolto l’onere della prova relativo al conferimento dell’incarico.
Il Tribunale di Verona confermava la decisione di primo grado rilevando che l’attività espletata dal legale, consistita nella redazione di un atto di precetto e di un avviso di sloggio, fosse avvenuta senza il consenso del cliente, poiché questi lo aveva incaricato, come da procura in atti, a svolgere la sola funzione di domiciliatario, mentre aveva conferito la difesa ad altro difensore. La pronuncia è stata impugnata con ricorso per Cassazione.
A detta dell’avvocato la decisione della corte di merito era affetta da vizio di violazione di legge, per non aver il Tribunale tenuto conto del principio secondo cui la mancanza della procura alle liti in capo all’avvocato non rileva ai fini del diritto al compenso, essendo a tal fine sufficiente il perfezionamento di un contratto di mandato, per il quale vige il principio di libertà della forma.
Pertanto, non avendo mai negato il cliente lo svolgimento dell’attività di patrocinio dallo stesso svolta, il tribunale avrebbe dovuto riconoscergli il diritto al compenso per l’attività svolta.
La Corte di Cassazione (Seconda Sezione Civile, ordinanza n. 27466/2019) ha dichiarato il motivo infondato.
Per consolidato orientamento giurisprudenziale, il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso.
La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un siffatto rapporto, può essere data dall’attore con ogni mezzo istruttorio, mentre compete al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, al sindacato di legittimità.
La decisione
Nella specie, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza aveva tenuto ben presente la distinzione tra rapporto endoprocessuale, nascente dalla procura ad litem, e rapporto di patrocinio, quale rapporto che si instaura tra il professionista incaricato e il soggetto che ha conferito l’incarico, e aveva ritenuto che, prescindendo dalla procura alle liti, l’attività svolta dall’avvocato era stata realizzata senza il consenso (neppure verbale o implicito) del cliente.
Lo svolgimento della dedotta attività difensiva era stata perciò correttamente ritenuta inidonea a far sorgere il diritto al compenso, in assenza di qualsivoglia specifico conferimento di incarico da parte del cliente, essendo rimasta accertata esclusivamente la domiciliazione presso il ricorrente.
Del resto è nota la differenza tra rilascio di procura, nella specie avvenuta in favore dell’avvocato solo per la domiciliazione, e il rilascio di mandato professionale, regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l’opera professionale (v. Cass. n. 19416 del 2016).
La redazione giuridica
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