I camici bianchi erano finiti a giudizio per omicidio colposo a conclusione dell’inchiesta aperta dalla Procura sul decesso di un uomo di 67 anni, morto per complicanze insorte dopo un’operazione di resezione parziale di massa tumorale per via laparoscopica eseguito a Roma
Si è concluso a Roma il processo di primo grado che vedeva imputati per omicidio colposo tre medici accusati del decesso di un 67enne morto per le complicanze insorte dopo un’operazione di resezione parziale di massa tumorale per via laparoscopica eseguito in una clinica romana nell’aprile del 2013.
Come riporta il Corriere della Sera, il paziente, in quel periodo, era stato sottoposto a una terapia anticoagulante che sarebbe stata sospesa tardivamente. Dopo l’intervento l’uomo era stato colto da un’emorragia che, però, secondo la ricostruzione della Procura, non sarebbe stata subito diagnosticata. Inoltre, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, non sarebbe stato disposto un esame specifico per verificare la sussistenza di una emorragia, nonostante l’immediata comparsa di sintomi indicativi di una possibile complicanza di questa natura.
La vicenda aveva visto l’apertura di un fascicolo con l’iscrizione nel registro degli indagati e il successivo rinvio a giudizio dei componenti dell’equipe medica presente in sala operatoria. Per tre di loro – due chirurghi e un anestesista – il Giudice ha decretato la pena di un anno. Assolti, invece, due assistenti.
La difesa dei camici bianchi condannati, tuttavia, contesta la decisione. Secondo il legale di due degli imputati – riferisce il Corriere della Sera – la perizia disposta dal Tribunale dimostrerebbe che l’intervento è stato condotto in modo corretto, mentre la fase post operatoria non sarebbe stata gestita dai propri assistiti. Inoltre, si profila un ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo per la mancata traduzione degli atti: uno dei chirurghi, infatti, è straniero e non conoscerebbe la lingua italiana.
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