L’insorgenza di complicanze intraoperatorie è idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del medico e il danno subito dal paziente, soltanto qualora sia dimostrato che esse siano causate da un evento imprevisto ed inevitabile

“Nelle prestazioni medico-chirurgiche routinarie, grava sul professionista l’onere di provare che le complicanze sono state causate da un evento imprevisto ed imprevedibile, secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenza tecnico scientifiche del momento, per superare la presunzione contraria che dette complicanze sono ascrivibili ad una sua responsabilità.

In ragione di ciò, non è sufficiente che venga accertata la sussistenza di “complicanze intraoperatorie”.

Per poter escludere la responsabilità del medico, il giudice è tenuto ad accertare che le stesse siano imprevedibili ed inevitabili, che non vi sia un nesso causale tra la metodologia di intervento impiegata dal sanitario e l’insorgenza delle complicanze, oltre che l’adeguatezza dei rimedi tecnici adoperati per far fronte alle complicanze medesime” (cfr Cass Civ, Sez III, 13.10.2017 n. 24074).

Tale principio è stato ribadito dal Tribunale di Avezzano con la sentenza in commento 29/08/2019, n. 420. La vicenda aveva avuto origine dall’azione esercitata da una paziente contro l’ASL locale, volta ad ottenere il risarcimento di tutti i danni (comprensivi anche del pregiudizio morale) subiti in conseguenza ad un intervento chirurgico eseguito presso il reparto di urologia del predetto ospedale.

La vicenda

La donna assumeva di essere stata sottoposta ad un intervento di litotrissia e di aver accusato, a partire dal primo pomeriggio dello stesso giorno, una grave crisi settica, dovuta ad infezione nosocomiale, che l’aveva costretta ad un ricovero (con pericolo di vita) presso il reparto di rianimazione.

In conseguenza di tale situazione aveva subito un’ipoacusia bilaterale con conseguente perdita dell’udito, problemi alla vista oltre che un’emiparesi spastica sinistra così da essere dichiarata invalida nella misura del 75% dell’INPS.

Si costituiva in giudizio l’ASL sostenendo che l’infezione che aveva determinato lo shock settico non poteva (essendosi manifestata a poche ore dall’intervento) essere stata contratta in ambito ospedaliero.

Aggiungeva, altresì, che nella valutazione della vicenda occorreva tener conto del fatto che la controparte fosse affetta da herpes zoster che avrebbe inciso causalmente sulla ipoacusia riscontrata.

La responsabilità contrattuale dell’ASL

In primo luogo, l’adito Tribunale ha ricordato che la giurisprudenza prevalente è assolutamente concorde nel ritenere che quanto alla struttura sanitaria debba farsi applicazione del regime (anche con riguardo al regime del riparto dell’onere della prova) della responsabilità contrattuale.

E’ stato difatti stabilito che “Nelle cause di responsabilità professionale del medico ovvero della struttura sanitaria deve ritenersi che il paziente che agisce in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria, deve provare il contratto ed allegare l’inadempimento del sanitario o della struttura, restando a carico del debitore l’onere di provare l’esatto adempimento. Più precisamente, consistendo l’obbligazione professionale in un’obbligazione di mezzi, il paziente dovrà provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto della prestazione sanitaria, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la citata prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto ed imprevedibile” (Napoli, Sez. VIII, 14.3.2019 n. 2775).

Il nesso causale

Comprovato il rapporto contrattuale tra le parti, l’attrice aveva allegato nell’atto introduttivo del giudizio ed ulteriormente specificato nelle memorie difensive, che dopo l’intervento di litotrissia era seguito un sostanziale aggravamento del quadro clinico, riconducibile eziologicamente, sempre secondo la prospettazione attorea, ad una infezione nosocomiale assunta dalla stessa paziente o comunque non adeguatamente trattata prima dell’intervento operatorio.

Ebbene la domanda è stata accolta perché fondata. Invero, la stessa CTU espletata in giudizio aveva escluso “una compartecipazione patogenetica della infezione da Herpes zooster verificatasi nel decorso clinico”.

I criteri di ripartizione dell’onere della prova

A supportare in diritto tale opzione interpretativa l’adito Tribunale ha ribadito che secondo consolidata giurisprudenza di legittimità “In tema di responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia con l’allegazione di qualificate inadempienze, astrattamente idonee a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, restando poi a carico del debitore convenuto l’onere di dimostrare che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno. Ove venga acquista la prova del nesso causale tra l’omissione della condotta che sarebbe stata opportuna in ossequio alle leges artis ed il danno, l’onere probatorio del danneggiante si risolve nel comprovare l’assenza di inadempimento, ovvero l’impossibilità soggettiva dell’adempimento, integrata dall’assenza di colpa per imprevedibilità o inevitabilità dell’evento lesivo” (Trib Lecce, 14.30.2019 n. 955).

Ebbene, nel caso di specie, la circostanza documentata e non contestata della preesistenza, al momento del ricovero della paziente, di un’infezione urinaria preospedaliera non adeguatamente trattata prima dell’intervento operatorio, ha indotto il giudice di primo grado a ritenere fondata la domanda attorea.

La decisione

Nella specie, – ha affermato il Tribunale di Avezzano – “la tecnica operatoria eseguita per la rottura dei calcoli, comportando una massiva immissione in circolo di germi patogeni, può determinare l’insorgenza di shock settico anche nel breve periodo con conseguente somministrazione (anche in via d’urgenza come accaduto nel caso di specie) di una aggressiva terapia antibiotica, la preesistente situazione di infezione urinaria non adeguatamente trattata nella fase pre operatoria, ha inciso sulla grave ipoacusia”.

In forza di tali considerazioni è stata riconosciuta la responsabilità della struttura sanitaria, che per queste ragioni è stata condannata ad un risarcimento pari a Euro 364.417,00 oltre interessi e rivalutazione, oltre alla refusione delle spese di lite sostenute dall’attrice.

Avv. Sabrina Caporale

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