Nel 2017 la Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Brindisi a carico dell’imputato per il delitto di cui all’art. 570 c.p.

Abbandonando il domicilio domestico, l’imputato si era disinteressato completamente alla moglie e al figlio minore, che pertanto, subiva un forte stress emotivo, e si sottraeva agli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge e alla potestà genitoriale.

Per tale reato era stato condannato alla pena di due mesi di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.

L’allontanamento dal domicilio domestico era stato determinato dalla forte conflittualità esistente all’epoca, tra i coniugi.

Tuttavia, a seguito di tale allontanamento era stato provato il suo disinteresse morale e materiale nei confronti della famiglia. La moglie si era infatti, rivolta ai propri genitori per un sostegno economico e morale anche a causa delle condizioni di salute del figlio minore.

La sentenza è stata confermata dai giudici della Sesta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 34538/2019).

«Sul piano fattuale – si legge nella sentenza in commento – non era posto in discussione che il prevenuto, allontanandosi dal domicilio domestico, avesse lasciato una donna sola con a carico un figlio minore, in condizioni di abbandono, privandola del sostegno morale ed economico, e costringendola a rivolgersi all’aiuto dei propri familiari.»

Al riguardo, la corte territoriale aveva attentamente valutato le dichiarazioni offerte dalla persona offesa, ritenute attendibili, prive di astio nei confronti dell’ex coniuge e suffragate da fonti di prova orali e documentali.

La decisione

I giudici di merito avevano proceduto non solo ad un opportuno e concreto vaglio dell’attendibilità della persona offesa, ma anche al riscontro delle sue dichiarazioni con le altre prove testimoniali acquisite, conformemente alla giurisprudenza di legittimità esistente in materia.

La Suprema Corte ha inteso dar seguito al consolidata indirizzo secondo cui le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di responsabilità previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità estrinseca del suo racconto, che in tal caso deve essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello a cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. 

Sotto altro aspetto, i giudici Ermellini hanno rilevato come l’attendibilità di un testimone sia questione di fatto, risolvibile nel contesto della motivazione complessiva della sentenza e non suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità.

La redazione giuridica

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