Respinto il ricorso di una donna che aveva presentato nel 2013 la domanda di indennizzo per il contagio da emotrasfusione infetta risalente al 1978

Con l’ordinanza n. 11902/2021 la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una donna che si era vista rigettare in sede di merito, per decorrenza dei termini, la domanda di indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992 presentata nel 2013 per contagio da emotrasfusione infetta risalente al 1978.

La ricorrente, in particolare, deduceva che il termine di decadenza per la presentazione della domanda possa decorrere solo dal momento in cui il danneggiato acquisisce piena e sicura consapevolezza del nesso causale tra la patologia e la trasfusione e che tale consapevolezza non può essere frutto di congetture ma deve essere provata; nel caso di specie, ella sosteneva di avere avuto tale conoscenza solo in base una certificazione rilasciata nell’aprile 2013 dal Primario del Reparto di gastroenterologia dell’Ospedale di Ancona.

La Cassazione, tuttavia, ha ritenuto di confermare la decisione dei Giudici del merito i quali avevano accertato che, anche in base all’esito della c.t.u., la donna dall’aprile 1992 aveva conoscenza del quadro di epatite cronica HCV-relata (“di positività della ricerca ematica degli anticorpi anti-HCV nonché del riscontro della presenza di positività del HCV-RNA plasmatico, indice di replicazione cellulare e di epatite HCV cronica attiva”) e, di conseguenza, aveva piena consapevolezza del nesso causale tra tale patologia e le emotrasfusioni risalenti al 1978.

La Corte territoriale aveva correttamente evidenziato che, al fine di individuare il dies a quo del termine di decadenza, occorre che “la parte interessata sia resa edotta non soltanto della diagnosi di danno epatico ma anche della possibile correlazione con la somministrazione di emoderivati; circostanza che, nella fattispecie in esame, deve ritenersi avvenuta in occasione della biopsia epatica (esame invasivo, il cui protocollo di esecuzione prevede la necessaria raccolta di anamnesi e di consenso informato) nonché in occasione della successiva prescrizione di terapia antivirale, in aprile del 1992, dovendosi ritenere che, già in occasione della somministrazione di terapia antivirale … la stessa raccolta del consenso informato abbia implicato la necessità che la paziente fosse stata resa edotta della derivazione post-trasfusionale della malattia conclamata”;

Il Collegio territoriale aveva poi aggiunto che: “non è, infatti, plausibile che una paziente con diagnosi di -Epatite cronica CV relata- formulata in termini di certezza (all’esito di esami invasivi) e, per di più, in terapia con farmaci specifici antivirali, seguita da strutture ospedaliere pubbliche, non fosse stata resa edotta della natura virale della malattia e, dunque, della sua possibile derivazione post-trasfusionale”.

La redazione giuridica

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