Credito risarcitorio scaturito da decesso per infortunio (Cassazione civile, sez. I, 15/03/2023, n.7475).
Il credito risarcitorio spettante per il decesso da infortunio sul lavoro in caso di insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro.
Gli eredi del lavoratore proponevano istanza d’insinuazione allo stato passivo dei fallimenti della s.n.c. (datrice di lavoro) e delle socie, del credito risarcitorio derivante dal decesso per infortunio sul lavoro e impugnavano il decreto di esecutività degli stati passivi dei fallimenti, che non contemplava il credito azionato.
Il curatore fallimentare eccepiva l’inammissibilità del credito azionato e l’improcedibilità per inesistenza della notificazione dell’opposizione e il giudizio veniva rimesso alla cognizione del Tribunale.
Il Tribunale di Matera, esclusa la inesistenza della notificazione, riteneva il ricorso infondato per assenza di responsabilità a carico della società datrice di lavoro.
Contro questo decreto propongono ricorso gli eredi per ottenerne la cassazione. Lamentano la errata applicazione della legge fallimentare e la violazione dei principi del contraddittorio.
Ciò di cui si dolgono i ricorrenti è che il Giudice delegato alla trattazione non li abbia invitati a misurare le proprie attività difensive funzionali alla rimessione al collegio, anche sulle questioni di merito del giudizio e che ciononostante il collegio abbia deciso anche il merito.
La censura è priva di fondamento poiché in base alla giurisprudenza, il giudizio di opposizione alla dichiarazione di esecutività dello stato passivo trova il proprio statuto di disciplina nella L. Fall., art. 99, nella formulazione derivante dalle modifiche del D.Lgs. n. 169 del 2007 (Cass. n. 17293/16), e non già nelle norme del codice di procedura civile, comprese quelle invocate in ricorso.
Si fa salva, nella disciplina fallimentare, l’esigenza di coprire gli spazi vuoti mediante ricorso alla disciplina generale, con particolare riguardo a quella dell’appello, pur sempre, però, se non sussistano esigenze di specialità e di autonomia che trovino nella disciplina del procedimento concorsuale apposita e distinta regolamentazione (Cass. n. 11366/18; n. 32750/22, punto 1.5.1).
Ciò posto, la trattazione dei procedimenti di impugnazione di cui all’art. 98, può avvenire davanti al collegio o a uno dei suoi componenti, delegato dal Presidente ai sensi del comma 3; e, qualora si sia optato per questa seconda modalità, l’investitura del collegio per la decisione è possibile anche in via breve da parte del Giudice designato, in coerenza con la deformalizzazione tipica del nuovo rito speciale, ispirata ad esigenze di celerità, e non è quindi disciplinata dalle norme del codice di procedura civile (Cass. n. 12116/16; n. 4553/22).
Col terzo e col quarto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116,183 c.p.c. e artt. 2721 c.c. e segg., per rigetto delle istanze istruttorie proposte dagli eredi, perché il Tribunale si sarebbe affidato unicamente alle risultanze della relazione tecnica svolta per conto del P.M. in sede penale, senza valutarne le incongruenze ricavabili dagli ulteriori elementi probatori acquisiti e acquisibili sulla sicurezza del cantiere e sulla formazione antinfortunistica del lavoratore, nonché la violazione degli artt. 61 e 241 c.p.c., per diniego di disporre CTU .
Queste doglianze sono fondate.
Il Tribunale si è limitato a evidenziare “…copia della CTP eseguita su incarico del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Vercelli, con i relativi allegati, con la quale si conclude per l’insussistenza di ogni responsabilità a carico dell’ente datore di lavoro corrispondente, nella fattispecie, alla società fallita“; e ha respinto la richiesta di provare la mancanza di misure di prevenzione infortuni, anche a mezzo della nomina di un CTU per la ricostruzione della dinamica del sinistro, affermando che “…tutte tali questioni possono ritenersi accertate, con esito negativo, dal predetto consulente del Pubblico Ministero“.
Ebbene, così facendo il Tribunale ha frapposto un impedimento in radice alla prova e quindi alla tutela processuale del diritto, posto che, da un lato, non ha motivato il rigetto dell’istanza di nomina di un CTU, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 37027/22); e, dall’altro, ha omesso di motivare il punto decisivo della controversia, ovverosia l’esistenza di adeguate misure antinfortunistiche, che la prova non ammessa era idonea a chiarire.
La censura complessivamente proposta viene accolta.
Avv. Emanuela Foligno
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