La vicenda tratta il danno ambientale nei confronti del Comune per gli scarichi inquinanti. La distilleria in questione è stata condannata dai Giudici di merito a risarcire oltre 1 milione di euro, comprensivo del danno all’immagine.
Il caso
La distilleria veniva condannata dalla corte di appello di Palermo, a titolo di risarcimento del danno ambientale in favore del Comune di Partinico per la complessiva somma di 1.115.646 euro. La quota di responsabilità era riconosciuta pari al 70% per gli scarichi inquinanti, nel periodo settembre 1991-settembre 1992, determinanti il degrado di un canale, un torrente e un fiume. Condotta per la quale era stata riconosciuta la penale responsabilità della amministratrice unica e legale rappresentante della distilleria.
L’importo corrispondeva alla sommatoria delle misure di riparazione:
- a) per efficientamento del depuratore comunale e tombatura scarichi illeciti, fino alla concorrenza di 677.878 euro;
- b) per progettazione e realizzazione di una rete di monitoraggio e campionamento delle acque superficiali del sistema fluviale, fino alla concorrenza di 77.768 euro;
- c) per la realizzazione di una campagna di indagine condotta da una task force per il controllo del corridoio fluviale, fino alla concorrenza di 108.448,00 euro;
- d) per l’ampliamento del budget complessivo attinente ai contratti relativi al personale della task force per il controllo del corridoio fluviale, fino alla concorrenza di 251.552 euro; confermando, altresì, la condanna, in favore della medesima amministrazione comunale, al pagamento della somma di 130.129 euro, a titolo di risarcimento del danno all’immagine.
Per quanto qui di interesse, la Corte di appello riteneva che, alla luce delle risultanze della C.T.U. espletata in secondo grado, era dimostrato che l’illecita immissione di reflui (borlande e condense) provenienti dalla Distilleria costituiva fattore responsabile del degrado sui corsi d’acqua. Pur essendo provato che anche altri soggetti riversavano i propri scarichi inquinanti nei medesimi corsi d’acqua la responsabilità della Distilleria per l’inquinamento veniva stimata in una quota pari al 70%.
Il ricorso in Cassazione
La distilleria ricorre in Cassazione lamentando come erroneamente ritenuto legittimato il Comune di Partinico all’azione di risarcimento del danno ambientale nonostante la sopravvenuta legittimazione del Ministero dell’ambiente ai sensi dell’art. 311 del D.Lgs. n. 152/2006. Lamenta altresì la errata liquidazione del danno in considerazione della condanna alla rimessione in pristino.
Sul primo punto, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della L. n. 97 del 2013, anche se riferiti a fatti anteriori alla data di applicabilità della direttiva comunitaria recepita da tale legge, è applicabile l’art. 311 del D.Lgs. n. 152 del 2006, nel testo modificato, da ultimo, dall’art. 25 della Legge n. 97/2013, ai sensi del quale resta esclusa la risarcibilità per equivalente, dovendo ora il Giudice individuare le misure di riparazione primaria, complementare e compensativa ivi prescritte e, per il caso di loro omessa o incompleta esecuzione, determinarne il costo, in quanto solo quest’ultimo (ovvero il suo rimborso) potrà essere oggetto di condanna nei confronti dei danneggianti.
La Corte territoriale si è attenuta a tali principi. Per quanto concerne l’altra censura, la distilleria non ha colto la ratio decidendi della Corte territoriale basata sull’accertamento della sussistenza di “effetti persistenti sullo stato biologico dell’ecosistema, determinati dall’alterazione del corpo idrico” (ribadendo, quindi, l’accertamento del Tribunale sul fatto che “la Distilleria ha dunque cagionato una significativa alterazione dell’ambiente le cui conseguenze pregiudizievoli hanno avuto effetto duraturo”) rispetto ai quali pregiudizievoli effetti persistenti residuavano “misure concretamente ed efficacemente ancora eseguibili” (MRPa: misure di riparazione attuali) per addivenire alla relativa completa riparazione.
Nella specie, la Corte ha accertato:
- a) la responsabilità della distilleria in ordine alle illecite immissioni inquinanti nel corpo idrico nel periodo settembre 1991-settembre 1992 e con effetti di esiti permanenti suscettibili di attuale riparazione;
- b) la responsabilità della medesima società per il danno all’immagine subito dal Comune di Partinico, ossia per il “notevole nocumento al proprio prestigio istituzionale, legato alla netta percezione da parte dei consociati dell’estrema difficoltà dell’Amministrazione nel governare il fenomeno dell’inquinamento indotto dalla condotta illecita tenuta dalla Distilleria e nel farvi fronte con adeguate risorse, che non potevano che essere distolte da altre rilevanti pubbliche finalità”, riconoscendo a tal riguardo anche la concorrente condotta posta in essere dallo stesso Comune e dai terzi”, così da determinare la quota di responsabilità della stessa Distilleria in misura pari al 70%.
A tali conclusioni i Giudici di appello sono pervenuti apprezzando complessivamente tutte le risultanze probatorie e le allegazioni, e dunque è da escludersi che si possa ravvisare sia la sussistenza di un errore di mera percezione sul contenuto oggettivo della prova, sia, in ogni caso, la decisività dell’errore stesso.
La liquidazione del danno di immagine
Per quanto riguarda, infine, la liquidazione del danno all’immagine, la Corte territoriale, nel dar corso ad una liquidazione equitativa “pura” del danno patito dal Comune di Partinico, ha indicato sia il percorso logico-giuridico seguito nell’individuare concretamente il danno risarcibile (ancorandolo al “notevole nocumento al proprio prestigio istituzionale, legato alla netta percezione da parte dei consociati dell’estrema difficoltà dell’Amministrazione nel governare il fenomeno dell’inquinamento indotto dalla condotta illecita tenuta dalla Distilleria e nel farvi fronte con adeguate risorse, che non potevano che essere distolte da altre rilevanti pubbliche finalità”), sia il criterio di liquidazione ritenuto adeguato (riferito “anche alle attività necessarie per ripristinare la dignità perduta da parte di una istituzione rappresentativa della collettività”, assumendo come idoneo allo scopo un parametro “di poco superiore al 10% del valore economico delle misure riparatorie già imposte”).
Quindi, escludendo motivatamente la congruenza del criterio di liquidazione utilizzato dal primo giudice (ossia, quello matematico di ragguaglio, ex art. 135 c.p., della pena detentiva inflitta alla B., autrice del delitto di danneggiamento aggravato), sia pure giungendo, poi, a quantificare il danno nella stessa consistenza monetaria.
Così facendo, la Corte si è attenuta al principio secondo il quale la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. “pura”, consiste in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, sicché, pur nell’esercizio di un potere di carattere discrezionale, il Giudice è chiamato a dare conto, in motivazione, del peso specifico attribuito ad ognuno di essi, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito nella propria determinazione e consentire il sindacato del rispetto dei principi del danno effettivo e dell’integralità del risarcimento (Corte di Cassazione, III civile, 15 marzo 2024, n. 7073).
Il ricorso viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno