La vicenda tratta del decesso del neonato con successiva diagnosi di “emorragia cerebrale massiva ed insufficienza cardiaca acuta destra in neonato con sindrome da Aspirazione di Meconio (MAS) complicata da Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID)”.
Il caso
La madre del neonato cita a giudizio l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche per il decesso del figlio avvenuto in data 28 marzo 2003. La morte è stata asseritamente ricondotta alla imperizia e negligenza dei sanitari al tempo della gestione e del monitoraggio del parto, derivante dal mancato accertamento dell’esatto periodo di gestazione in corso. La diagnosi è stata di “emorragia cerebrale massiva ed insufficienza cardiaca acuta destra in neonato con sindrome da Aspirazione di Meconio (MAS) complicata da Coagulazione Intravascolare Disseminata (CID)”.
Il Tribunale (sent. agosto 2015) rigetta integralmente la domanda avanzata dalla donna, condividendo le risultanze della CTU espletata nel giudizio civile, che “aveva comunque ritenuto statisticamente non riconducibile alla condotta dei sanitari l’evento, variabili essendo le cause che possono determinare una sofferenza ipossico-ischemica del feto e potendosi escludere un danno asfittico cronico o ipossico cronico in quanto il peso del neonato, le caratteristiche morfologiche ed antropometriche, il segnalato accrescimento fetale dell’ultima ecografia e la flussimetria risultavano nella norma”.
Il Tribunale riteneva che la donna non avesse fornito la prova di una diversa e alternativa ricostruzione causale e che anche la perizia espletata in sede penale evidenziò che “pur non essendovi dubbio che il feto avesse subito presumibilmente nel periodo antecedente il parto un insulto intrauterino che provocò una lesione cerebrale, lo stesso non rilevava alcun segno di ipotetica sofferenza intrauterina cronica da senescenza placentare, talché risultava del tutto impossibile individuare la causa della grave ed acuta sofferenza ipossica del feto”.
La decisione dei giudici di secondo grado
La Corte di Ancona, ribaltando la decisione di primo grado, condannava l’ASL Marche al pagamento, in favore dell’attrice, della somma di €250.000,00, a titolo di risarcimento del danno iure proprio, e della somma di €75.000,00, a titolo di risarcimento del danno da perdita di chances di sopravvivenza per il decesso del neonato patito iure hereditatis.
I Giudici di appello, in sintesi, valutavano in maniera differente la consulenza medico-legale svolta in primo grado, arrivando a considerare che la gravidanza della donna si presentava “protratta” e che avrebbe reso necessaria la immediata provocazione del parto.
Sempre secondo i Giudici di appello, applicando il criterio del “più probabile che non”, in luogo del “desueto” criterio dell’alto grado di credibilità razionale o di probabilità logica utilizzato all’interno della CTU, poteva “con tranquillità affermarsi che, considerati lo stato della paziente e la sua storia clinica, se i sanitari non avessero compiuto l’omissione di scrupolosità e della comune diligenza nel monitoraggio della gravidanza, il decorso clinico del neonato sarebbe stato favorevole e comunque non certamente letifero“.
La Corte di Cassazione conferma la decisione di secondo grado
In concreto, sebbene la Corte di Ancona abbia originato il proprio ragionamento da una premessa erronea, sono stati applicati correttamente i principi giurisprudenziali.
L’affermazione del Giudice secondo cui “la conclusione cui è pervenuta la CTU attraverso la ormai desueta teoria dell’alto grado di credibilità razionale o probabilità logica non può essere condivisa, stante la riconosciuta applicabilità nel campo della responsabilità civile del diverso criterio del “più probabile che non”(…)”, scaturisce a monte da un’erronea sovrapposizione tra il criterio della probabilità logica, da un lato, e i criteri probatori di accertamento della causalità materiale, dall’altro.
Quello della probabilità logica non è un criterio probatorio di ricostruzione del nesso di causalità materiale diverso e potenzialmente alternativo rispetto a quello utilizzato all’interno del giudizio civile del “più probabile che non”, ma è espressione di un accertamento di natura sostanziale del nesso di causalità materiale.
In altri termini, quella condotta può dirsi causa di quel determinato evento nel solo caso in cui sia possibile affermarlo sulla base o di una regola di esperienza generalizzata, ovvero sulla base di una legge dotata di validità scientifica che inserisca quell’evento in misura certa (legge universale), o in misura probabile (leggi statistiche) nella serie causale in cui è altresì inserita la condotta umana.
Il criterio della probabilità logica
Ergo, il criterio della “probabilità logica” è un criterio – sostanziale – di accertamento del nesso di causalità materiale, che non va confuso con i diversi di criteri – probatori -di accertamento della responsabilità e che fondano poi la distinzione tra il giudizio civile e quello penale.
La Corte territoriale, conformemente sia al criterio della probabilità logica (interno alla ricostruzione del nesso di causalità materiale), sia al diverso standard probatorio richiesto all’interno del giudizio civile, cioè quello fondato sul “più probabile che non” è pervenuta correttamente ad accertare la responsabilità dell’ASL.
Il giudizio controfattuale ha condotto all’accertamento della responsabilità nel senso che se i Medici non avessero compiuto quelle condotte omissive nel monitoraggio della gravidanza e nel calcolo della presunta gestazione,no sarebbe avvenuto il decesso del neonato (Cassazione civile, sez. III, 11/06/2024, n.16199).
Avv. Emanuela Foligno