Decesso del neonato causato da aspirazione massiva di meconio

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I genitori della neonata ritengono che vi sia stata una omessa vigilanza delle condizioni fetali prima del parto e una ritardata esecuzione del taglio cesareo che hanno comportato una “insufficienza respiratoria acuta da aspirazione massiva di meconio”. (Cassazione Civile, sez. III, 15/03/2024, n.7074).

La vicenda

La paziente, il 18 dicembre 2004, al termine della gravidanza, si presentava dolorante all’Ospedale e veniva ricoverata per sospetta cistopielite e sottoposta a terapia farmacologica.

La mattina del 20 dicembre 2004, poco dopo le ore 5.00, l’ostetrica di turno aveva rilevato la rottura del sacco amnio-coriale, con fuoriuscita di liquido amniotico tinto di verde. Veniva allertato il ginecologo che, riscontrata la presenza di meconio nel liquido, disponeva l’esecuzione di un taglio cesareo.

Alle ore 7.05, l’intervento terminava e nasceva la bambina che si presentava ipotonica e con gravi difficoltà respiratorie. La piccola veniva intubata ma decedeva alle ore 9.30. Successivamente, l’autopsia accertava la causa del decesso in “insufficienza respiratoria acuta da aspirazione massiva di meconio”.

La chiamata in causa

I genitori chiamavano in causa l’ASL 6 di Livorno deducendo l’inesatto adempimento dei sanitari per omessa attività di vigilanza e monitoraggio delle condizioni fetali nel lasso temporale anteriore al taglio cesareo e per la ritardata esecuzione di tale intervento.

Il Tribunale di Livorno rigettava la domanda; la Corte d’Appello di Firenze, previo rinnovo di CTU medico-legale, rigettava la domanda.

Per quanto qui di interesse, i Giudici di appello, in punto di nesso causale, ritenevano non raggiunta la prova poiché, nonostante l’espletamento di due CTU, “non era stato possibile stabilire con certezza il momento preciso in cui vi era stata l’inalazione del meconio“.
Precisamente, non era stato possibile “stabilire se detta inalazione fosse avvenuta nel periodo di “comporto” previsto dalle linee guida mediche per un taglio cesareo (45 minuti circa dalla decisione –allerta – di effettuare il taglio cesareo) o nel periodo ulteriore (i 35 minuti successivi al tempo accettabile legittimo per eseguire il cesareo, essendo pacifico che il cesareo avvenne dopo oltre un’ora dalla decisione)”.
Ragionando in tal senso, la Corte di Appello riteneva irrilevante che il taglio cesareo fosse stato fatto “in ritardo” (oltre, cioè, i 45 minuti dall’allerta per emissione di liquido amniotico), non potendo essere stabilita la rilevanza o meno di detto ritardo in ordine alla verificazione dell’evento dannoso.

Il vaglio della Corte di Cassazione

I ricorrenti deducono che, in primo luogo, avevano allegato la sussistenza di condotte omissive dei sanitari, i quali, nella fase precedente il parto, non avevano proceduto all’effettuazione dei controlli (in particolare, della cardiografia e del liquido amniotico) finalizzati ad accertare il benessere feto-placentare e a cogliere in anticipo eventuali evenienze critiche, nonché, quindi, a prevenire la situazione di ipossia; in secondo luogo si lamentano del ritardo con cui era stato effettuato il taglio cesareo, dal momento che erano trascorsi un’ora e cinquanta minuti tra il momento in cui era stata rilevata la situazione critica e il momento in cui l’intervento era stato eseguito.

Aggiungono che i Consulenti accertavano che “i controlli cardiotocografici, ove eseguiti regolarmente, avrebbero consentito di cogliere in anticipo la sofferenza fetale e, conseguentemente, di anticipare l’intervento cesareo per prevenire interamente o almeno in parte i danni successivamente verificatisi, laddove, al contrario, la nascita ritardata (di almeno 35 minuti) aveva dato tempo al feto di effettuare i primi atti respiratori, con conseguente inalazione di meconio”.

La CTU di secondo grado


Inoltre, i Consulenti nominati in secondo grado, oltre a confermare nella sostanza tali giudizi, avevano anche evidenziato la sussistenza di ulteriori omissioni poste in essere dai sanitari nel post-parto, per “non avere aspirato il meconio presente nella trachea della neonata subito dopo l’intubazione e prima delle insufflazioni di ossigeno, in conformità alle linee guida in uso”.
Assumono, al riguardo, l’erroneità e l’illogicità del riferimento alla accertata impossibilità di stabilire con certezza il momento preciso in cui vi era stata l’inalazione del meconio, dovendosi ritenere piuttosto rilevanti, al contrario, le – parimenti accertate – omissioni verificatesi sia prima del parto che dopo di esso, atteso che, in mancanza delle prime, si sarebbe potuto riconoscere tempestivamente l’inizio della sofferenza fetale e si sarebbe potuto utilmente anticipare il taglio cesareo, proprio per evitare l’inalazione del meconio da parte del feto; mentre, in mancanza delle seconde, si sarebbe potuto aspirare il meconio tracheale, verosimilmente evitando l’evento estremo, invece verificatosi; evidenziano, ancora, l’autonoma rilevanza dello stesso ritardo nell’esecuzione del cesareo, ritenuto eccessivo dai Consulenti tecnici e da reputare senz’altro causalmente rilevante alla luce dell’ulteriore affermazione, pure questa risultante dalle CTU, secondo cui l’inalazione del meconio era comunque avvenuta in prossimità della nascita.

Illegittima ed errata la sentenza di Appello

La Suprema Corte ritiene la sentenza di appello errata ed illegittima. I genitori della neonata hanno dedotto due inadempimenti: le omissioni verificatesi nella fase antecedente il parto, consistite particolarmente nella mancata regolare effettuazione dei controlli cardiotocografici e della valutazione dello stato del liquido amniotico; il ritardo con cui era stato effettuato il taglio cesareo.

Inoltre, la CTU espletata in secondo grado aveva accertato una terza circostanza, che, ovviamente, in quanto emersa solo nel corso del giudizio d’appello, non era stata originariamente allegata dagli attori: ovverosia, la circostanza dell’omessa aspirazione del meconio dalla trachea della neonata, che era morta oltre due ore dopo la nascita.

Dal punto di vista sostanziale, e anche in diritto, la conclusione della Corte di merito è errata. È stata ritenuta la presenza di profili di responsabilità per inadempimento della Struttura sanitaria, ma non sono stati tenuti presenti ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria poiché avrebbero integrato un mutamento del titolo di responsabilità della struttura rispetto a quella dedotta dalle parti attrici (responsabilità “diretta” anziché “indiretta”) e, sotto il profilo processuale, ad un mutamento del titolo della domanda (“mutatio libelli“) rispetto a quella originariamente formulata. Non vi è stato nessun mutamento del titolo della domanda.

I CTU, oltre al malfunzionamento dell’apparecchio cardiotocografico, avevano accertato anche la sussistenza (e l’eccessività) del ritardo nell’esecuzione del taglio cesareo, nonché l’ulteriore circostanza della omessa aspirazione del meconio dalla trachea della neonata nella fase successiva al parto.

Quest’ultima circostanza, sebbene non conosciuta dagli attori (essendo evidente che essi, se ne avessero avuto notizia, l’avrebbero senz’altro allegata già negli atti introduttivi) rientrava – stando alla classificazione operata dal Giudice d’appello tra prestazioni “dirette” e prestazioni “indirette” – nell’ambito delle mancanze direttamente ascrivibili al personale sanitario, integrando un’ipotesi di responsabilità “indiretta” della struttura.

L’onere della prova deve essere circoscritto ai fatti conosciuti e conoscibili dalla parte

Tale circostanza avrebbe dovuto essere presa in considerazione dalla Corte territoriale, avuto riguardo alla stessa (errata) premessa posta a fondamento della sentenza, secondo la quale gli attori si erano limitati a dedurre la responsabilità “indiretta” della ASL convenuta. Da tale (errata) premessa, infatti, doveva trarsi l’implicazione che, mentre non sarebbe stato possibile conoscere delle deficienze organizzative della struttura, sarebbe stato invece consentito (ed anzi doveroso, stante la debita allegazione attorea) prendere in considerazione le omissioni poste in essere dal personale sanitario.

Invece, i Giudici di Appello, contraddicendo macroscopicamente, la loro stessa errata premessa, hanno reputato che fosse precluso anche l’esame di questa specifica condotta omissiva, sul rilievo che si trattasse di un profilo di responsabilità “mai allegato” in primo grado dagli appellanti. Al riguardo viene ribadito il principio granitico dei limiti dell’onere di allegazione che deve essere circoscritto ai fatti conosciuti e conoscibili dalla parte, in ragione delle informazioni ad essa accessibili ed alle cognizioni tecnico-scientifiche esigibili.

È dunque sufficiente, per il paziente danneggiato, contestare l’aspetto colposo dell’attività medica secondo quelle che si ritengono essere, in un dato momento storico, le cognizioni ordinarie in ordine all’attuale stato dei profili di responsabilità del sanitario. Pertanto è errato non avere preso in considerazione gli specifici inadempimenti evidenziati dalle due CTU ed è parimenti errata la esclusione della prova del nesso di causa.

OSSERVAZIONI

La cassazione della sentenza d’appello è assolutamente corretta; interessante poi l’approfondimento della mutatio libelli svolta dalla Corte di Cassazione.

Venendo al caso esaminato, entrambi i CTU hanno valutato eccessivo l’intervallo temporale intercorso tra l’accertamento della situazione critica e l’effettuazione del taglio cesareo e che la puntualità dei controlli avrebbe consentito di cogliere in anticipo la sofferenza fetale, permettendo, con ragionevole probabilità, di anticipare l’intervento cesareo ed evitare, almeno in parte, i danni successivamente verificatisi, laddove, al contrario, il ritardo nell’esecuzione dell’intervento aveva esposto il feto all’inalazione di meconio.

Il giudizio sulla sussistenza del nesso causale avrebbe dovuto presupporre, non già che fosse accertato il momento preciso dell’inalazione del meconio da parte del feto, bensì che fosse piuttosto accertata, da un lato, l’incidenza delle omissioni pre-parto sulla intempestiva verifica delle condizioni di sofferenza del feto e, quindi, prima ancora che sulla ritardata esecuzione del cesareo, sulla stessa ritardata decisione di effettuarlo; dall’altro lato, l’incidenza, sull’evento morte, dell’omessa esecuzione, nell’immediatezza del parto, della manovra di aspirazione del meconio della trachea, ove effettivamente indicata, nelle linee guida, come manovra da compiersi prima dell’insufflazione dell’ossigeno.

Avv. Emanuela Foligno

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