“La astratta idoneità della condotta omissiva si pone come causativa, in termini di ‘più probabile che non’, del danno alla salute, rendendosi palese non solo quale sia stato il giudizio controfattuale sul comportamento che si sarebbe dovuto attendersi dal sanitario, ma anche la stessa connotazione colposa dell’omissione” (Cassazione civile, sez. III, Sentenza n. 21531 del 27/07/2021)

I genitori della bambina convenivano a giudizio dinanzi al Tribunale di Torino, l’Asl e il Ginecologo onde ottenere il risarcimento dei danni per le gravi lesioni patite dalla figlia a causa dell’asserita carenza di assistenza neonatale.

Il Tribunale, espletata C.T.U. medico-legale, rigettava la domanda sul rilievo che le cure terapeutiche relative al travaglio e al parto fossero state adeguate, non emergendo elementi atti a fondare la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici convenuti.

La Corte d’appello di Torino rigettava il gravame e confermava la sentenza del Tribunale in quanto considerava l’assistenza neonatale correttamente svolta “nonostante la cartella clinica non riportasse annotazioni relative alle successive sei ore”, perché “i C.T.U. ipotizzavano che un neonato in culla termica non potesse essere lasciato senza assistenza e che in quelle sei ore” non vi erano state criticità tanto che “al mattino le condizioni cliniche erano stabili”.

La sentenza d’appello veniva impugnata per cassazione dai genitori della bambina, con ricorso affidato a sei motivi.

La Suprema Corte, con sentenza n. 6209/2016, accoglieva il ricorso e, cassando con rinvio la sentenza impugnata con riguardo al secondo, terzo e quarto motivo, precisava che la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici convenuti fosse di natura contrattuale – ricadendo su questi ultimi l’assolvimento dell’onere della prova dell’inadempimento non imputabile ai sensi dell’art. 1218 c.c. – e che, in virtù del principio della vicinanza della prova, la tenuta incompleta della cartella clinica non potesse tradursi in un pregiudizio per il paziente, essendo invero, in tal caso, ammissibile il ricorso a criteri presuntivi, non solo ai fini dell’accertamento della condotta colposa del medico, ma anche del nesso causale tra condotta ed evento lesivo.

In particolare, gli Ermellini rilevavano che il Giudice di appello errava laddove, “a fronte di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ha ritenuto di condividere l’ipotesi formulata dai consulenti d’ufficio – che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza”, censurandone le conclusioni “sia sotto il profilo motivazionale (…) che sotto quello della violazione dei criteri di distribuzione dell’onere della prova, alla luce della pacifica carenza di annotazioni nella cartella clinica”.

A seguito della riassunzione del giudizio di rinvio la causa veniva rimessa in istruttoria per la valutazione e liquidazione del quantum debeatur e veniva pubblicata la sentenza definitiva n. 101 in data il 16 gennaio 2019.

Con la sentenza non definitiva n. 1867/2017, la Corte d’Appello di Torino, in funzione di giudice del rinvio, accertava la responsabilità dell’ASL e del Medico per le lesioni patite dalla bambina all’epoca della nascita, nonché il diritto ad essere manlevati, nei limiti del massimale di polizza, da Generali Italia S.p.A.; rigettava, infine, la domanda di danno patrimoniale sul rilievo per cui “non solo non è stata allegata documentazione alcuna a supporto dell’affermata preesistenza e poi cessazione dell’attività lavorativa” oltre che delle spese sostenute per la figlia, “ma nemmeno sono state formulate istanze di prova orale per ricostruire la situazione quotidiana alla quale gli oneri che dovrebbero essere risarciti si ipotizzano correlati”.

Con la sentenza definitiva, la Corte d’Appello condannava I’ASL e il Medico in solido tra loro, al pagamento della complessiva somma di euro 1.634.655,29, oltre accessori, a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali, e della complessiva somma di euro 294.121,62, oltre accessori, a titolo di danno non patrimoniale, oltre alla rifusione delle spese processuali per l’intero giudizio; condannava, quindi, Generali Italia S.p.A. a manlevare i convenuti per gli importi dovuti alle attrici, nei limiti del massimale di polizza pari ad euro 774.680,00.

Ricorre per la cassazione di entrambe le sentenze, non definitiva e definitiva, l’Asl e il Medico propone ricorso incidentale, mentre resistono i genitori della bambina proponendo anch’essi ricorso incidentale.

Sul ricorso principale della ASL viene denunciata la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c., n quanto la Corte d’appello, con la sentenza non definitiva n. 1867/2017 (riverberandosi il vizio sulla sentenza definitiva n. 101/2019, che ha soltanto quantificato il danno), non ha effettuato alcun approfondimento istruttorio, anche mediante apposita CTU, in merito alla verificazione di fatti causalmente idonei a determinare o comunque a incidere avuto riguardo precipuo all’arco temporale delle prime sei ore dalla nascita della bambina sull’encefalopatia da sofferenza perinatale patita dalla neonata, inferendo quei fatti causali unicamente dall’incompletezza della cartella clinica in violazione delle norme sulle presunzioni semplici.

Con il secondo motivo viene lamentato che la Corte d’Appello non avrebbe accertato l’effettivo rilievo determinante della condotta colposa dei sanitari nel cagionare, nell’arco temporale controverso, il danno lamentato.

Gli Ermellini esaminano congiuntamente i motivi di ricorso della ASL, del Ginecologo e della Compagnia Assicuratrice.

Sulla mancata applicazione della L. n. 24 del 2017, art. 7 e, dunque, della qualificazione in termini di responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., dell’illecito ascritto al Medico, con i conseguenziali effetti sul riparto dell’onere probatorio, nonché del principio secondo cui anche in costanza di responsabilità contrattuale (della struttura sanitaria e/o del medico) la dimostrazione del nesso causale tra condotta ed evento lesivo spetterebbe al paziente/danneggiato, gli Ermellini ritengono le censure infondate.

E’ orientamento consolidato quello per cui, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di Cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal Giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal Giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale.

Ciò posto, è da escludersi l’applicazione della legge Gelli-Bianco in quanto il fatto illecito si è verificato nel dicembre 1996 e dette norme non hanno efficacia retroattiva.

Dunque, il vincolo in iure posto alla Corte territoriale, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comportava anzitutto la necessaria qualificazione della responsabilità di struttura sanitaria e dei medici in essa operanti in termini di responsabilità contrattuale e, quindi, in armonia ai “principi che governano la responsabilità contrattuale”, nel senso che, una volta dimostrato il contratto (o il “contatto sociale”) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia, con l’allegazione di inadempienze specifiche, idonee a provocarli, grava sulla controparte dimostrare o che l’inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur essendovi stato, non ha determinato il danno lamentato, ricadendo sulla posizione della struttura e dei sanitari non solo detta carente prova, ma anche il dubbio a tal riguardo sussistente.

Quel vincolo comportava, che, in caso di difettosa tenuta della cartella clinica, il Giudice del rinvio doveva applicare il principio di vicinanza della prova e fare, quindi, coerente governo della distribuzione degli oneri probatori anche ai fini della “stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente”, così da orientarsi secondo il principio per cui “proprio il difetto nella tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno, ma consente anzi di ritenere raggiunta la dimostrazione del predetto nesso facendo ricorso alle presunzioni.”

Le ulteriori censure mosse dai tre ricorsi sono in parte infondate e in parte inammissibili.

La Corte territoriale ha accertato i fatti acquisiti al processo: “i problemi della bambina alla nascita data la presenza di liquido amniotico tinto di meconio e dato che l’indice di Agpar – significativo della vitalità del neonato – per il suo primo minuto di vita era stato di 4 ed era salito a 7 al quinto minuto di vita, dopo la posa in essere di manovre mediche adeguate, a fronte di un indice minimo di 8 per situazioni di normalità”.

Il Giudice di appello ha ritenuto che: a) una siffatta “situazione doveva essere qualificata quantomeno di difficoltà”, sicché era “pretendibile un monitoraggio attento della neonata nelle prime ore di vita”; b) affermare “che non pote’ non esserci un monitoraggio, ma che esso non fu registrato in cartella clinica per assenza di dati di rilievo da segnalare, significa(va) trasformare un’ipotesi in realtà senza dati concreti di effettivo riscontro e senza possibilità alcuna di contestazione”; c) in mancanza di registrazioni nel periodo tra le ore tre e le ore nove della mattina “nulla (era) possibile sapere sulle condizioni della neonata nel lasso di tempo non coperto, in una situazione in cui vi era una concreta possibilità di peggioramento delle condizioni della bimba, effettivamente verificatosi e registrato dalle ore nove in poi”; d) l’adeguatezza del monitoraggio delle cure prestate nel lasso di tempo indicato non si (poteva) desumere dalla mancanza di annotazioni” nella cartella clinica, “ma (doveva) essere provata dal medico e dalla struttura sanitaria, a ciò specificamente onerati”; e) esisteva, quindi, “una “finestra” temporale vuota nel cui ambito possono essere avvenuti fatti determinanti e/o incidenti sull’entità delle lesioni successivamente accertate a carico della bambina e per la quale non si conoscono i comportamenti posti in essere a salvaguardia e tutela della salute della neonata”; f) l’incertezza derivante “in ordine all’accaduto dalle tre alle nove invest(iva) negativamente la posizione del Ginecologo e della ASL, perché il vuoto temporale indicato e la sua significatività sotto il profilo probatorio rileva(vano), nei termini descritti, sia sotto il profilo dell’inadempimento imputabile sia sotto il profilo del nesso di causalità (…), non permettendo di considerare integrata la prova liberatoria a loro carico richiesta dall’art. 1218 c.c.”.

Pertanto, sono prive di fondamento le doglianze inerenti il prospettato errore di giudizio della Corte territoriale sotto i profili di una carente verificazione di fatti idonei a sostanziare il nesso causale tra condotta dei medici e danno patito dalla neonata e, con ciò, della correlata mancanza di un giudizio controfattuale sulla portata eziologica della condotta omissiva.

L’accertamento del Giudice di merito ha avuto ad oggetto anche l’esistenza di una situazione critica di salute della bambina alla nascita e di una “concreta possibilità di peggioramento delle condizioni”, ciò imponeva ai sanitari di porre in essere, nel lasso temporale dalle ore 3 alle ore 9 del mattino un adeguato monitoraggio e idonei interventi terapeutici a salvaguardia della salute della bambina, poi effettivamente compromessa.

Il monitoraggio e la prestazione di cure, dunque, erano le condotte cui sarebbe stato tenuto il Ginecologo, per evitare il danno, o quantomeno per evitare l’entità delle lesioni (invalidità permanente del 100% per “grave insufficienza mentale in severa paralisi cerebrale infantile – tetraparesi di tipo aposturale – esito di encefalopatia ipossico-ischemica perinatale”), poi effettivamente esitate.

Sicché, la correlazione tra la situazione critica di salute alla nascita e la “concreta possibilità” di un peggioramento delle condizioni di salute della neonata (poi realmente determinatosi e concretatosi in lesioni dagli esiti permanenti pari al 100% di invalidità) evidenzia, nel ragionamento del Giudice di merito, l’apprezzamento sulla astratta idoneità della condotta omissiva a porsi come causativa, in termini di “più probabile che non”, del danno alla salute, rendendosi palese non solo quale sia stato il giudizio controfattuale sul comportamento che si sarebbe dovuto attendersi dal sanitario, ma anche la stessa connotazione colposa dell’omissione.

A fronte di ciò, la ASL e il Ginecologo, a fronte della incompletezza della cartella clinica, dovevano dimostrare in concreto che, in quel lasso temporale di sei ore, vi era stato un monitoraggio adeguato e che non si fossero verificati fenomeni tali da richiedere l’intervento dei medici.

Per tale ragione assorbente, sono prive di fondamento le restanti doglianze.

In conclusione, la Suprema Corte rigetta tutti i ricorsi, principale e incidentale, e compensa integralmente le spese di giudizio tra tutte le parti, in ragione della reciproca soccombenza.

Avv. Emanuela Foligno

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