Non è escluso il danno danno patrimoniale per il sol fatto della mancata prova, da parte della vittima, dello svolgimento di una attività lavorativa

A seguito di un incidente stradale che causò una invalidità permanente del 25% ai danni di una casalinga, quest’ultima agiva in giudizio al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti, compreso il danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa

Ma il giudice adito, pur riconoscendo la predetta invalidità, ritenne non dovuto il danno patrimoniale, essendo mancata la prova dello svolgimento di un’attività lavorativa produttiva di reddito e non essendo neanche ravvisabili le condizioni per il riconoscimento del danno da perdita di chance, posto che la parte danneggiata non aveva dimostrato che, pur non avendo potuto sostenere l’esame di Stato per l’iscrizione all’albo dei geometri, avrebbe continuato ad essere impedita dai postumi invalidanti permanenti ad intraprendere la carriera di geometra (potendo anche aver scelto di non intraprendere tale carriera) o comunque avrebbe superato l’esame e intrapreso con successo l’attività professionale, a parte la mancata prova di una maggiore onerosità dello svolgimento dell’attività di casalinga per effetto dell’invalidità.

Ma per i giudici della Cassazione, tale statuizione è contraria ai principi di diritto più volte enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.

«In tema di danni alla persona, l’invalidità di gravità tale (nella specie, del 25 per cento) da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (Cass. 12 giugno 2015, n. 12211)».

La decisione

«Nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica ed il danno che da essa ne consegue, il giudice può procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (Cass. 23 agosto 2011, n. 17514; 7 novembre 2005, n. 21497). La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorchè possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio (Cass. 14 novembre 2013, n. 25634) ».

Nel caso in commento, il giudice di merito, escludendo in partenza il danno patrimoniale per il sol fatto della mancata prova di uno svolgimento dell’attività lavorativa, aveva omesso di compiere quell’accertamento presuntivo in ordine alla riduzione della perdita di guadagno nella sua proiezione futura, imposto dall’entità dei postumi, anche in termini di perdita di chance, a nulla rilevando che nel caso in esame, la vittima fosse una casalinga.

La redazione giuridica

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