La Cassazione si esprime sul danno da lucida agonia andando sovvertire un diverso pensiero che si era cristallizzato dopo anni e anni di “bisticci” giurisprudenziali sulla “importanza del ragionevole lasso di tempo” necessario per fare sorgere il danno da lucida agonia (Cassazione civile sez. III, 16/07/2024, n.19506).
I fatti
La interessante vicenda giuridica trae origine da un sinistro stradale avvenuto il 24/6/2011 in Francavilla al Mare.
La vittima, mentre era intenta ad attraversare a piedi viale Alcione con direzione ovest-est, era stato investito dal motociclo Suzuki VL250 che marciava sul predetto viale con direzione nord-sud. A seguito dell’investimento, il pedone riportava lesioni, che alcuni mesi dopo lo conducevano alla morte.
Il Tribunale, accogliendo parzialmente la domanda attorea, attribuiva al pedone vittima un concorso di responsabilità pari al 30% (perché attraversava fuori dalle strisce pedonali presenti a distanza di circa venti metri rispetto al punto di urto) e condannava il motociclista al risarcimento, nei limiti del 70%, quantificato in oltre 1 milione di euro.
In particolare, in favore del figlio veniva liquidato l’importo di 418.159 euro, di cui 140.000 euro per il danno non patrimoniale patito dal padre nel corso degli otto mesi di degenza ospedaliera, 68.159 euro per danno patrimoniale iure proprio consistito nella perdita della contribuzione economica del genitore in misura pari al 50% del reddito da questi percepito in vita e 210.000 euro per danno da perdita del rapporto parentale con il padre.
Il ricorso in Appello
Vittoria assicurazioni propone appello censurando il danno non patrimoniale patito dalla vittima e trasmesso al figlio per gli 8 mesi di degenza ospedaliera.
Secondo la Compagnia, il Tribunale avrebbe erroneamente conferito rilevanza ai numerosi interventi chirurgici subiti dalla vittima ed alle correlate sofferenze. Queste, infatti, sarebbero già ricomprese nella diaria quotidiana della IT quali conseguenze ordinarie di lesioni fratturative ed avrebbero potuto comportare, semmai, una quantificazione prossima al massimo della forbice risarcitoria prevista dalle tabelle.
Ed ancora, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere sussistente in re ipsa il danno morale catastrofale, nonostante il decesso fosse stato determinato da “concause patologiche” eccezionalmente innestatesi nel “semplice politrauma fratturativo” causato dal sinistro, che avrebbe altrimenti avuto evoluzione anche statisticamente benigna. In sostanza, la Compagnia sostiene che in assenza di specifica prova delle condizioni psichiche e morali della vittima, non si sarebbe dovuta presumere alcuna lucida agonia, o alcuna consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita, tanto da pervenire ad una liquidazione corrispondente alla somma di 809,71 euro per ciascuno dei 247 giorni intercorsi tra l’incidente ed il decesso.
La Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza n. 1692/2020, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarata la esclusiva responsabilità del motociclista, rideterminava i crediti risarcitori e, tenuto conto delle somme già corrisposte, condannava Vittoria Assicurazioni:
- a) in favore del figlio 329.869,84 euro, oltre interesse legali dalla sentenza al saldo.
- b) In favore del fratello 12.216,07 euro, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.
- c) in favore di altro fratello 1.638,96 euro, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo.
Il vaglio della Corte di Cassazione
Per sintesi espositiva vengono analizzate le sole censure inerenti il danno biologico e da lucida agonia liquidate alla vittima. Tali censure vengono accolte.
La Compagnia denuncia errata e falsa applicazione delle tabelle di Milano anno 2018 e dei comuni principi regolatori della materia. Osserva che la Corte di merito ha liquidato la somma complessiva di 282.815 euro per il danno cd. Terminale. E, per giungere a detta liquidazione:
- a) per il danno biologico da inabilità temporanea totale (ITT), ha applicato “le tabelle milanesi aggiornate al 2014”.
- b) Per il danno morale terminale ha applicato una “liquidazione” che “non può essere ancorata… ai suddetti valori tabellari”.
L’applicazione delle tabelle milanesi
Si duole, anche, che la Corte territoriale non ha applicato le Tabelle di Milano del 2018 coeve alla propria decisione che prevedono una sezione ad hoc relativa alla disciplina della figura del danno c.d. terminale. Per il danno da lucida agonia la Corte ha liquidato euro 1000/die per 247 gg (intercorrenti dall’investimento all’exitus), mentre avrebbe dovuto liquidare tale voce secondo i parametri predeterminati dalle Tabelle di Milano 2018.
Secondo la tesi della Compagnia, nella liquidazione del danno biologico terminale non sussistono casi o situazioni eccezionali che rendono un caso più gravoso o penoso di un altro e che impongono di travalicare il massimo della personalizzazione, poiché chi si trova degente in ospedale ha avuto il suo destino già segnato dal tragico incidente (anche in termini di dolore per cure ed operazioni chirurgiche e di timore per l’inesorabile avvicinarsi del fin di vita) che ne ha determinato l’exitus solo ad effetto differito.
In definitiva, secondo la Compagnia, i Giudici di appello avrebbero superato il massimo liquidabile di oltre 150 mila euro più del dovuto, come risultante dai valori massimi di personalizzazione predeterminati dai Criteri tabellari 2018. E comunque il fatto che il lesionato sia rimasto in vita per alcuni mesi non necessariamente implica che abbia vissuto con la percezione (o la sensazione o l’angoscia) dell’approssimarsi della propria morte.
La liquidazione del danno biologico
La S.C., nel ritenere fondate le doglianze esposte, ricorda che nella liquidazione del danno biologico, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, vi è la regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c., che deve garantire una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. Inoltre l’applicazione delle tabelle milanesi è necessaria proprio per garantire uniformità di trattamento risarcitorio, onde evitare gli importanti discostamenti che si sono verificati sino al decennio precedente a quello corrente.
In sostanza, il concetto di valutazione equitativa previsto nell’art. 1226 cc, una volta applicato al problema della liquidazione del danno non patrimoniale alla persona, esige che si debba fare riferimento alle Tabelle Milanesi.
Di tali principi di diritto non ha tenuto conto il Giudice di appello che, nel liquidare il danno terminale (tanatologico) ha applicato le Tabelle di Milano del 2014, mentre avrebbe dovuto applicare quelle pubblicate nel 2018, anteriori di oltre due anni rispetto alla data di deliberazione della sentenza qui impugnata. La Corte territoriale, per il danno tanatologico, ha utilizzato un “miscuglio” tra il danno biologico terminale, liquidato secondo i valori massimi delle Tabelle di Milano 2014, ed il danno catastrofale da lucida agonia, facendo riferimento ad un criterio equitativo puro, che è però stato superato dalle Tabelle di Milano 2018, secondo le quali detto criterio può e deve essere esercitato mediante l’utilizzo della personalizzazione fino al 50%.
Il singolare incipit della Cassazione sul danno da lucida agonia
Aggiungono gli Ermellini che il Giudice di merito può far ricorso alla prova presuntiva ex art. 2729 c.c. per fondare il proprio convincimento in punto di prova della sofferenza delle lesioni, ma sulle sensazioni interiori, sugli stati d’animo, sulla consapevolezza di dover morire non può adottarsi legittimamente alcun ragionamento presuntivo in difetto di riscontro di documentazione medica e/o di testi che sentirono esternazioni di tale tipo.
In ciò viene richiamata la recente Cass. n. 5753/2024, prima della quale “la consapevolezza della morte” veniva valutata presuntivamente – come tutti sappiamo – sull’aspetto temporale della sopravvivenza e sulla entità e importanza delle lesioni.
La decisione richiamata, “una volta ammessa la distinzione tra la sofferenza avente base organica (il c.d. “dolore nocicettivo”) e la sofferenza non avente base organica (il c.d. “dolore psicosociale”), sostiene che non vi è alcuna implicazione reciproca tra l’una e l’altra. Dunque è corretta la decisione di merito che, dinanzi ad un caso di sopravvivenza quodam tempore, incrementi il risarcimento del danno biologico temporaneo per tenere conto dell’intensità e della gravità delle lesioni, ma non ravvisi un pregiudizio non patrimoniale da “lucida agonia”.
Lunga e/o lunghissima degenza e stato di coscienza della vittima
Ora ci si domanda, sommessamente, considerato che l’incipit va a sovvertire un diverso pensiero che si era cristallizzato dopo anni e anni di “bisticci” giurisprudenziali sulla “importanza del ragionevole lasso di tempo” necessario per fare sorgere il danno da lucida agonia, quale riscontro documentale ci dovrebbe/potrebbe essere sulla sensazione interiore e lo stato d’animo del paziente?
Personalmente chi scrive non ha mai visto una cartella clinica ove, nella diaria giornaliera, venga riportato, “il paziente è triste, teme di morire, ha paura della morte, è convinto di essere vicino alla morte”…
Ma di cosa stiamo parlando? Non è questa la ratio del danno da lucida agonia che è deputato a riparare la sofferenza relativa alla consapevolezza dell’approssimarsi del fine vita.
Lunga e/o lunghissima degenza e stato di coscienza della vittima sono stati dimenticati?
Per quale ragione giuridica, un paziente deceduto dopo 8 mesi di ricovero dal fatto illecito non avrebbe patito l’approssimarsi della propria fine? Logica vuole, invece, che un paziente ricoverato per un lunghissimo periodo, come nel caso in analisi, capisca e percepisca che la sua situazione non migliorerà e che morirà.
La decisione della Corte di Appello, per quanto rinvenibile dalla decisione a commento, è errata, e comunque priva di congrua motivazione sul punto, e la Cassazione, forse sbalordita da una così lunga degenza della vittima, dà continuità alla n. 5753/2024, ancorandosi a una improbabile (quanto assurda e diabolica) prova documentale e testimoniale.
Avv. Emanuela Foligno