Deficit alla mano destra e colpa medica (Cassazione Civile, sez. VI, dep. 10/10/2022, n.29357).
Deficit alla mano destra derivante da infortunio sul lavoro e colpa medica.
Il paziente citava dinanzi il Tribunale di Palermo l’Azienda ospedaliera chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivati dalla condotta del personale ospedaliero che gli aveva apprestato le cure al tendine flessore del II dito della mano dx, leso a seguito di un infortunio sul lavoro.
Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo che non fosse stata offerta prova dell’esistenza di un nesso di causalità tra il lamentato deficit alla mano destra e la condotta dei sanitari, essendo emerso dalla CTU che l’operato degli stessi risultava corretto.
La Corte d’appello di Palermo ha dichiarato inammissibile il gravame interposto dal soccombente, poiché inosservante degli oneri di specificità imposti dall’art. 342 c.p.c., comma 1.
In particolare, la Corte territoriale ha rilevato che “l’appellante non ha indicato uno schema di motivazione alternativo a quello seguito dal primo giudice nel rigettare la domanda risarcitoria proposta, riproponendo interamente le deduzioni del giudizio di primo grado”: egli, infatti, “ha dedotto che i sanitari non hanno dato giusto peso al deficit alla mano destra dallo stesso riportata, ovvero al tendine flessore del II dito della mano dx, ritenendo che cicli di fisioterapia e laser terapia sarebbero stati sufficienti ad ottenere la sua guarigione, senza nulla argomentare a confutazione delle argomentazioni svolte dal primo giudice e, in particolare, senza specificare per quali considerazioni la condotta del personale medico non è stata improntata al rispetto dei dettami delle regole dell’arte medica consone alla fattispecie”.
I Giudici di secondo grado hanno inoltre aggiunto che la richiesta di una nuova C.T.U., “sulla quale sostanzialmente si fonda l’atto di appello, è pure inammissibile, stante la sua natura meramente esplorativa, essendo diretta a provare l’esistenza, soltanto eventuale, di profili di colpa dei medici, non evidenziati in alcun modo”, così come è “inconcludente… la richiesta di citazione del C.T.U…., al fine di fornire chiarimenti circa la mancanza del nesso di causalità tra i postumi dallo stesso patiti e la condotta dei medici curanti, non comprendendosi quali punti della consulenza il C.T.U…. dovrebbe chiarire”.
La decisione viene impugnata in Cassazione e il ricorrente denuncia vizio di “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione” con riferimento all’art. 342 cpc.
Rileva il ricorrente che:
– non era possibile “costruire un processo alternativo, trattandosi di imprudenza, imperizia e negligenza afferente ad una condotta “omissiva”, consistita nel non avere preso provvedimenti opportuni per eliminare il deficit alla mano destra”;
– la chiesta C.T.U. non aveva natura meramente esplorativa, ma di ausilio per le competenze tecniche del caso e la valutazione del nesso tra il mancato/insufficiente/inadeguato operato dei medici dell’ente ospedaliero e gli esiti invalidanti riportati dal paziente alla mano destra;
– che la sentenza risulta fondata unicamente sulla C.T.U. che “non dava contezza delle ragioni per cui si assumeva assenza di causalità tra la condotta dell’ente e del personale ospedaliero e le menomazioni riportate, bensì si limitava a sostenere scarnamente e genericamente che: “la condotta del personale è stata improntata al rispetto dei dettami delle regole dell’arte medica consone al caso della fattispecie””.
Gli Ermellini osservano che il ricorrente ha, infatti, omesso sia di individuare e riportare le statuizioni dei capi della sentenza di primo grado – nei confronti dei quali l’impugnazione proposta dovrebbe ritenersi, diversamente da quanto ritenuto dai giudici d’appello, provvista dei requisiti di specificità -, sia di trascrivere per esteso il contenuto dell’atto di appello, così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione.
In particolare, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità.
Anche il secondo motivo è inammissibile in quanto non tiene conto della ratio decidendi della decisione impugnata.
Conclusivamente il ricorso viene dichiarato inammissibile.
Avv. Emanuela Foligno
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