Demansionamento del lavoratore pubblico e rapporto tra mobbing e straining (Cass. civ., sez. VI, 6 ottobre 2022, n. 29059).

Demansionamento del lavoratore pubblico: respinta l’esistenza di mobbing e straining.

La vicenda trae origine dal ricorso di una dipendente comunale finalizzato all’accertamento di comportamenti persecutori e mobbizzanti in suo danno.

Secondo la tesi della lavoratrice, il Comune ove prestava servizio la demansionava dal ruolo di responsabile dei servizi finanziari per trasferirla ai servizi sociali e cimiteriali.

Tuttavia, secondo i Giudici di merito non si può discorrere di mobbing, né del più attenuato straining, collegato all’asserito demansionamento, bensì di accesa conflittualità tra le parti.

La Corte d’Appello di Napoli, confermando la sentenza del Tribunale di Nola, rigetta la domanda di risarcimento dei danni per mobbing proposta nei riguardi del Comune.

La Corte di merito ha escluso che vi fosse stata prova dell’intento lesivo, sostenendo che esso risultava incompatibile con l’esistenza di comportamenti asseritamente dannosi, ma ascritti a due diverse compagini amministrative, il cui convergere in un medesimo atteggiamento persecutorio non era spiegabile.

Inoltre, la Corte d’Appello riconosceva una serie di attività errate da parte della lavoratrice asseritamente demansionata (inserimento in bilancio di entrate inesistenti; mancata emissione di avvisi di accertamento per un’annualità di ICI), ma che i comportamenti contestati denotavano esclusivamente una accesa conflittualità.

Infine, quanto al dedotto demansionamento, la Corte d’Appello ha ritenuto che la lavoratrice avrebbe riconosciuto la corrispondenza delle nuove mansioni alla qualifica di appartenenza ed anche i testimoni non avevano riferito nulla di decisivo nel senso rivendicato dalla ricorrente, mentre scarsamente provata era l’assenza di dotazioni per i servizi che la ricorrente doveva svolgere, rispetto alle quali non risultava neanche che essa si fosse attivata per ovviare alle difficoltà eventualmente esistenti.

La lavoratrice ricorre in Cassazione.

L’unico motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., e art. 112 c.p.c., ed esso si incentra sul rilievo per cui, pur in mancanza di un intento persecutorio, la Corte di merito avrebbe dovuto valutare l’attuarsi di condizioni stressogene di lavoro e di nocività ambientale, riconducibili alla fattispecie dello straining, da ricostruire anche in via presuntiva e comunque valutando il disagio lavorativo e il demansionamento quali fonti di danni non patrimoniali maturati.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha esaminato, con dovizia di dettagli, le circostanze di causa e ne ha concluso, con giudizio non raggiunto da specifiche e puntuali critiche, che di inadempimenti, cioè di demansionamento, sottrazione di mezzi di lavoro, accuse infondate, insubordinazioni di sottoposti indebitamente tollerate o incentivate, non vi erano state, accertando solo l’esistenza di una “accesa conflittualità tra le parti” non sviluppatasi in condotte vessatorie.

Sul punto, chiaramente il Giudice d’appello ha motivato: “quello che con certezza risulta emergere dagli atti è una situazione di accesa conflittualità tra le parti… non… trasmodata in una condotta vessatoria da parte delle diverse amministrazioni comunali succedutesi nel tempo”.

Ebbene, l’esistenza di un disagio lavorativo non è decisiva, proprio perché alla base delle conclusioni assunte dalla Corte territoriale vi è un giudizio di merito che è giuridicamente corretto e che rende superflua ogni diversa considerazione.

Il ricorso viene respinto.

Avv. Emanuela Foligno

Leggi anche:

Caduta dal ponteggio non fissato correttamente

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui