I camici bianchi erano finiti a giudizio per una diagnosi ritardata di tumore a una donna di 60 anni, morta un anno dopo aver appreso della malattia
La Suprema Corte di Cassazione ha annullato la sentenza con cui i Giudici del merito avevano assolto due medici ravennati accusati di omicidio colposo per una diagnosi ritardata di tumore che, secondo l’accusa, era costata la vita a una donna di 60 anni. Se tempestivamente curata, infatti, la paziente avrebbe avuto discrete probabilità di guarigione o, comunque, di sopravvivenza per un periodo significativamente più prolungato.
Più specificamente a uno dei professionisti, anatomopatologo dell’ospedale di Ravenna, veniva attribuito un esame istologico sbagliato, che escludeva l’evidenza di neoplasie. Al collega, gastroenterologo all’ospedale di Faenza, veniva invece contestato di avere dimesso la paziente, sebbene una tac avesse evidenziato la presenza di una ’neoformazione istmo-pancreatica solida’, che nella maggior parte dei casi è di natura maligna.
Una tesi, quest’ultima, supportata da una consulenza tecnica di parte presentata dai familiari della vittima – costituitisi parte civile nel procedimento – secondo la quale la Tac sarebbe stata eloquentissima, tanto che, come riferisce il Resto del Carlino, lo stesso radiologo avrebbe affermato ’questo è un cancro’.
La paziente, pertanto, secondo il perito avrebbe dovuto essere indirizzata da un chirurgo per essere subito operata, cosa che invece non avvenne.
La malattia sarebbe insorta nel 2013, ma la signora ne sarebbe stata messa al corrente solamente a gennaio dell’anno successivo. A distanza di poco più di un anno, nel febbraio del 2015, era sopraggiunto il decesso.
Ora la Cassazione ha rimesso gli atti alla Corte di appello per un nuovo processo. La difesa dei camici bianchi, tuttavia, sottolinea come l’interesse dei due professionisti per il decorso clinico della paziente fu elevato, dicendosi fiduciosa di ottenere una ulteriore pronuncia di assoluzione.
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