Le dichiarazioni dei periti o dei consulenti tecnici di parte costituiscono una prova dichiarativa assimilabile a quella resa dal testimone?

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n° 41737/18, ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito giuridico: Le dichiarazioni dei periti o dei consulenti tecnici di parte costituiscono una prova dichiarativa assimilabile a quella resa dal testimone?

Il quesito traeva origine dalla vicenda della quale cercherò di illustrare brevemente il contenuto.

Tizio, imputato per rapina aggravata consumata presso un istituto di credito, ricettazione di una autovettura e porto di oggetto atto ad offendere, veniva assolto dal Tribunale con la formula “per non aver commesso il fatto”, in quanto, ad avviso del Giudice di prime cure, le mere immagini estrapolate dai filmati di videosorveglianza, ad un riscontro eseguito tramite la captazione del telefono cellulare intestato all’imputato, non consentivano di affermare la penale responsabilità del medesimo, oltre ogni ragionevole dubbio.

La Corte di Appello, poi, all’esito dell’impugnazione avanzata dal P.M., riformava la sentenza di primo grado, condannando pertanto l’imputato, ritenendo che gli indizi raccolti risultavano essere gravi, precisi e concordanti e dunque idonei ad affermare la penale responsabilità dell’imputato.

Il difensore dell’imputato proponeva ricorso dinanzi la Suprema Corte impugnando, tra l’altro, la violazione del principio di oralità e di immediatezza, poiché la Corte territoriale, nel riformare la sentenza di primo grado, non avrebbe rinnovato le decisive prove assunte nel corso del dibattimento, ossia le dichiarazioni rese dal perito e dal consulente tecnico del P.M., assimilabili alla testimonianza e dunque qualificabili quali prove dichiarative.

In altre parole, ad avviso del difensore, la Corte di Appello, pronunciando una sentenza in riforma della pronuncia assolutoria, avrebbe dovuto rinnovare le dichiarazioni dei periti e dei consulenti tecnici, ritenute decisive dal Tribunale per escludere la penale responsabilità dell’imputato e contrariamente valutate dalla Corte territoriale.

Dunque, innanzitutto nell’ordinanza in esame gli Ermellini prendevano le mosse dalla sentenza Dasgupta e da successive pronunce, secondo cui nell’ipotesi in cui la Corte di Appello dovesse ribaltare la pronuncia assolutoria di primo grado, avrà l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’audizione dei soggetti che hanno reso prove orali decisive, tranne nel caso in cui fornisca in sentenza una “razionale giustificazione della difforme conclusione adottata”.

Ebbene, tale orientamento si pone oggi in contrasto con l’art. 603 co. 3 bis c.p.p., introdotto nel nostro ordinamento dalla Legge 103/2017, che recita testualmente che “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.

Dunque, nell’ordinanza in esame, la Suprema Corte si soffermava poi sulla diversità tra il ruolo di testimone, ossia di soggetto chiamato a deporre in merito a quanto visto ed udito, ed il consulente tecnico di parte ovvero il perito, che è un professionista chiamato a deporre in merito ad aspetti squisitamente tecnici.

E’ per tale motivo che la Suprema Corte ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito di diritto: “se le dichiarazioni dei periti o dei consulenti tecnici costituiscano o meno prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello avrebbe la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa”.

Avv. Aldo Antonio Montella

Foro di Napoli

 

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