Tre studenti su 100 hanno difficoltà nell’apprendimento. Si tratterebbe dei cd. DSA – disturbi specifici dell’apprendimento che comprende, tra gli altri, la dislessia, la discalculia, la disgrafia.

Il dato che ha fatto il giro di tutti quotidiani nazionali è stato reso noto dalle aziende sanitarie. Dall’indagine è emerso che se, nell’anno scolastico 2010-2011 i ragazzi dislessici o disgrafici, riconosciuti tramite i documenti delle aziende sanitarie, erano soltanto lo 0,7% totale, nel 2017-2018 essi rappresentavano circa il 3,2% della popolazione studentesca per un totale di 276 mila.

La scuola oggi è chiamata a rispondere alle diversificate esigenze non solo educative espresse dai propri alunni.

Accanto a forme di disabilità più marcate vi sono quelle che, sebbene meno conclamate non sono per ciò meno preoccupanti, soprattutto se si considera il dato per cui sempre maggiore è il numero di studenti italiani che pur non essendo “certificati” presentano bisogni educativi specifici.

Vi rientrano i disturbi nell’apprendimento, le difficoltà comportamentali e relazionali, le differenze linguistiche e culturali e così via.

Tali disturbi possono essere di svariato tipo e manifestarsi sotto diversi gradi di complessità, incidendo in maniera più o meno significativa sul rendimento scolastico. Purtroppo molto spesso sono sottovalutate sia dagli insegnanti che dai genitori che le interpretano come segnali di scarso impegno, pigrizia o semplice svogliatezza.

La prima definizione di DSA

La prima definizione di DSA risale al 1990; il suo autore è Donald Hammill che riferendosi alle “Learning Disability” le ha definite come “un gruppo eterogeneo di disturbi manifestati da significative difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di abilità di ascolto, espressione orale, lettura, ragionamento e matematica, presumibilmente dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale”.

Nel 2007, in Italia, la Consensus Conference tenutasi a Milano su iniziativa della Associazione Italia  Dislessia ha elaborato delle Raccomandazioni per la pratica clinica sui disturbi specifici dell’apprendimento.

In seguito e in ottemperanza di tali Raccomandazioni, il legislatore italiano è intervenuto con il “Decreto n. 5669 del 12 luglio 2011, del Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca, attuativo della Legge 170/2010 che riconosce giuridicamente la dislessia, la disortografia, la disgarfia e la discalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento e tutela il diritto allo studio di alunni e studenti, valorizza nuove metodologie didattiche e valutative e, non da ultimo la formazione dei docenti”.

Al decreto attuativo sono infine, state allegate le Linee Guida, per realizzare interventi didattici individualizzati e personalizzati.

Quando si parla di “disturbo”

Si parla di DSA nei casi in cui si riscontri, maggiormente durante la scuola primaria, una particolare difficoltà e discrepanza con le capacità generali intellettive proprie nella norma dei minori, ossia tenuto conto dell’età e della fascia scolastica di riferimento. Si è detto anche che trattasi di disturbi che coinvolgono unicamente alcune abilità o capacità e non altre (quali la lettura, la scrittura o il semplice calcolo numerico).

Gli studi eseguiti hanno rivelato come nella maggioranza dei casi considerati, i minori affetti da DSA avessero almeno un genitore affetto dallo stesso disturbo e che i maschi sono i più colpiti rispetto alle femmine.

Ad ogni modo, non essendo coinvolte le capacità intellettive dell’individuo, tali disturbi possono essere superati attraverso un “percorso trattamentale compensativo” che dovrebbe risolvere con successo il problema senza ripercussioni sul rendimento scolastico, la vita di relazione del minore e così via.

Perciò è importante  se si pensa di avere un bambino con un qualche disturbo cognitivo, di rivolgersi al proprio medico di famiglia o, meglio, ad uno specialista che possa diagnosticare il problema specifico e prevedere delle strategie o percorsi individualizzanti con gli insegnanti. 

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