Disabile falsifica il permesso per il parcheggio: condanna inevitabile

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La Cassazione ha confermato la condanna inflitta a un disabile per aver contraffatto il permesso del parcheggio riservato, posticipandone la data di scadenza: respinta la tesi difensiva dell’applicazione della particolare tenuità del fatto

L’accusa di contraffazione al disabile

La Corte d’appello di Milano aveva condannato un disabile per aver contraffatto il contrassegno per il parcheggio disabili a lui rilasciato dal Comune, valevole fino al mese di maggio 2014. L’imputato aveva cancellato la cifra finale 4, sostituendola con un 6, in tal modo posticipando la scadenza di due anni. Per tali fatti era stato condannato previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di quattro mesi di reclusione.

Contro tale sentenza l’imputato aveva proposto ricorso per cassazione, con il patrocinio del proprio difensore di fiducia, denunciando la violazione dell’art. 131 bis c.p.

La difesa aveva rappresentato che l’imputato era un autentico disabile, avente diritto a usufruire del parcheggio riservato; che tuttavia, in mancanza di disponibilità economiche che consentissero di procedere al rinnovo dell’autorizzazione, egli aveva modificato la data del contrassegno, con condotta che, pur antigiuridica, non era tale da destare allarme sociale. Tale situazione, ad avviso della difesa, giustificava una sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 131 bis c.p., in mancanza di comportamento abituale, e alla luce del decorso del tempo dalla commissione del fatto.

Ma il ricorso è stato dichiarato inammissibile. (Corte di Cassazione, Quinta Sezione, sentenza n. 11713/2020).

Invero, sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano reso una plausibile argomentazione, a giustificazione della propria decisione, in ordine alla insussistenza dei presupposti per la declaratoria di non punibilità. Era stata infatti, evidenziata l’intrinseca connotazione della gravità della condotta falsificatrice e della presenza, a carico del ricorrente, di due precedenti specifici.

Per il Supremo Collegio il giudizio della corte di merito era corretto perché in linea con l’insegnamento delle Sezioni Unite “Tushaj” che hanno delineato i contorni del comportamento abituale, ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis c.p., indicandolo come tale quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre a quello preso in esame (Sezioni Unite, n. 26659/2016), sicché “in breve, il terzo illecito della medesima indole dà legalmente luogo alla serialità che osta all’applicazione dell’istituto”.

Per queste ragioni, il ricorso è stato definitivamente rigettato e confermata la sentenza di condanna (Corte di Cassazione, Quinta Sezione, n. 11713/2020).

Avv. Sabrina Caporale

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