È discriminatoria la delibera di giunta comunale che, nel beneficiare una particolare categoria di disabili (quelli con patente ed autoveicolo) alla sosta gratis sulle strisce blu in centro cittadino, crei una situazione di svantaggio per un’altra categoria di invalidi, presuntivamente con una patologia più grave

La vicenda

L’azione era stata esercitata da una signora disabile contro la delibera della giunta comunale che aveva previsto, solo a favore degli invalidi muniti di patente di guida e proprietari di autoveicolo, uno speciale permesso per la sosta gratis sulle strisce blu in centro cittadino (ove i posti riservati agli invalidi fossero occupati) senza alcun tipo di limitazione, che invece, era stata introdotta per i titolari di contrassegno invalidi ma non muniti di patente né proprietari di autoveicolo, i quali avrebbero potuto fruire di analogo permesso solo se in grado di documentare esigenze di spostamento per raggiungere, con carattere continuativo (almeno 10 volte al mese) il proprio luogo di lavoro, strutture sanitarie presso le quali sostenere cure o terapie riabilitative o altri centri specializzati per lo svolgimento di attività formative o professionali.

Il comune, a detta della ricorrente, pur avendo posto in essere una condotta positiva finalizzata ad agevolare una categoria di disabili, nell’escludere quelli sprovvisti di patente e autoveicolo, aveva perpetrato nei loro confronti un discriminazione indiretta.

Ma la Corte d’appello di Torino rigettò l’istanza, ritenendo la limitazione denunciata rispondente ai criteri di equilibrio e ragionevolezza; posto che l’unico svantaggio sarebbe stato quello di pagare la sosta con un esborso non esorbitante e non incidendo comunque, sulla libertà di movimento.

La vicenda è giunta sino in Cassazione. Per la ricorrente, i giudici di merito avevano erroneamente giustificato il diverso trattamento riservato ai disabili non automuniti, con la necessità di prevenire gli abusi dei familiari, piuttosto che predisporre un adeguato sistema di controlli e sanzioni.

La Corte di Cassazione (Prima Sezione Civile n. 41084/2019) ha accolto il ricorso perché fondato.

“È indiscutibile che i disabili, per accedere al centro cittadino, non abbiano le medesime opportunità delle persone non disabili, che possono servirsi senza difficoltà dei mezzi di locomozione, quali biciclette o motocicli o mezzi pubblici il cui utilizzo è consentito anche ai disabili ma con modalità di non sempre facile applicazione”.

Pertanto, – hanno aggiunto gli Ermellini – l’agevolazione economica della gratuità della sosta rappresenta un incentivo per indurre le persone disabili a condurre una vita di relazione assimilabile a quella delle persone normodotate, e questo aspetto il Comune lo aveva pienamente colto, concedendo meritoriamente ai disabili muniti di patente e proprietari di un veicolo un beneficio che va ben al di là del risparmio patrimoniale del costo del parcheggio, incidendo soprattutto sull’aspetto psicologico della loro esistenza; il Comune aveva tuttavia, contestualmente posto in essere una condotta discriminatoria indiretta ai danni dei disabili (presuntivamente affetti da una patologia più grave) non muniti di patente e non proprietari di un autoveicolo, che necessitano per i loro spostamenti del necessario ausilio di un familiare, i quali avrebbero potuto parimenti fruire dello stesso permesso (negato alla ricorrente) solo se in grado di documentare accessi frequenti nel centro cittadino per lo svolgimento di attività lavorative, di assistenza e cura.

La discriminazione indiretta

In proposito, la L. n. 67/2006, art. 2 comma 3, stabilisce che “si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone”. Ebbene, era proprio quanto era accaduto nel caso di specie, il Comune, nel beneficiare una particolare categoria di disabili (quelli con patente ed autoveicolo), ne aveva posto un’altra, presuntivamente con una patologia più grave, in posizione di svantaggio.

Per tutti questi motivi il ricorso è stato accolto e la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla corte d’appello di Torino che, in diversa composizione, dovrà rimuovere gli effetti della condotta discriminatoria accertata.

La redazione giuridica

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