In caso di infedeltà coniugale perché sorga il diritto al risarcimento del danno in favore dell’altro coniuge, è necessario che la violazione sia posta in essere con modalità tali da cagionare un pregiudizio alla dignità personale o alla salute dell’altro coniuge

L’infedeltà coniugale e la pronuncia di addebito della separazione

Una donna aveva proposto ricorso dinanzi al Tribunale di Rieti al fine di ottenere la pronuncia della separazione con addebito a carico del marito, oltre al risarcimento del danno esistenziale causatole per l’infedeltà coniugale e per essere stata privata del diritto alla sessualità, e abbandonata.

In primo luogo, il Tribunale di Rieti (sentenza n. 113/2020) ha accolto la domanda di separazione con addebito a carico dell’uomo. Da quanto emerso, quest’ultimo aveva abbandonato la casa coniugale senza dare spiegazioni, senza più farvi ritorno, senza dare notizie di sè, sino a rendersi irreperibile e a non rispondere più neppure al telefono.

Tale circostanza dell’allontanamento della casa coniugale era stata confermata dallo stesso coniuge in sede di prova per interrogatorio formale ed era stata quindi, ritenuta, pacifica tra la parti.

L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà secondo la giurisprudenza

Sul tema della relazione extraconiugale quale causa di addebito della separazione, la giurisprudenza di legittimità è dell’avviso che gravi sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza e che sia, viceversa, onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (Cass. civ., Sez. I, n. 2059/12).

Nella specie, l’esistenza della relazione extraconiugale era stata confermata da una pluralità di fotografie che ritraevano l’uomo con l’amante, in pose inequivocabilmente intime. Del resto, quest’ultimo non aveva mai negato la relazione con la donna, pur affermando che inizialmente si trattasse di una semplice amicizia, successivamente sfociata in un rapporto sentimentale in seguito al manifestarsi della crisi coniugale con la moglie.

Tali argomenti non hanno convinto il Tribunale. Il tenore inequivocabile delle fotografie, confermato dalle dichiarazioni testimoniali dimostrava in modo lampante come quella in essere tra i due non poteva certo essere considerata una semplice relazione di amicizia.

La violazione dei doveri coniugali

L’ampio compendio probatorio aveva, dunque, consentito di ritenere provata tanto l’infedeltà coniugale, quanto la rilevanza causale della stessa in ordine al manifestarsi della crisi coniugale, trattandosi di relazione senz’altro antecedente; del resto il resistente, non era stato in grado di fornire alcuna spiegazione causale alternativa credibile al proprio improvviso allontanamento.

Ritenuta pertanto, la violazione da parte dei doveri coniugali, di cui all’art. 143 c.c., con specifico riferimento al dovere di fedeltà l’adito tribunale ha accolto la domanda di separazione con addebito a suo carico.

La domanda di risarcimento del danno esistenziale

Il Tribunale di Rieti ha anche accolto la domanda di condanna del coniuge al risarcimento del danno “esistenziale” causato alla ricorrente in conseguenza del modo spregiudicato con cui questi aveva violato l’obbligo di fedeltà, abbandonandola e privandola del diritto alla sessualità.

Per giurisprudenza costante il risarcimento del danno non patrimoniale, fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, è consentito solo in caso di lesione di interessi costituzionalmente protetti, facenti capo alla persona, dalla quale scaturiscano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica (si veda, da ultimo, Cass. civ., SS.UU., n. 26978/08).

Ciò posto, ancorchè in linea generale, la Corte di Cassazione è ormai incline ad ammettere la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla violazione degli obblighi scaturenti dal matrimonio.

Oltretutto,- ha osservato il giudice laziale – “se da un lato dal matrimonio scaturisce, tra l’altro, il dovere di fedeltà ex art. 143 c.c., dall’altro non esiste un corrispondente diritto alla fedeltà coniugale costituzionalmente tutelato, di tal chè la violazione del relativo obbligo è suscettibile di fondare una pretesa risarcitoria solo ove dia luogo ad un comportamento doloso o colposo che, per le modalità con cui viene posto in essere, arrechi un danno alla dignità personale dell’altro coniuge, o un pregiudizio alla salute dello stesso” (Cass. civ., Sez. III, n. 6598/19).

Discorso analogo può essere compiuto, ad avviso del Tribunale, con riferimento al dovere del coniuge – pure scaturente dal matrimonio – di intrattenere rapporti sessuali con l’altro coniuge, al quale non si accompagna un correlativo diritto dell’altro coniuge costituzionalmente tutelato, per cui anche in tale ipotesi, perchè sorga il diritto al risarcimento del danno, è necessario che la violazione sia posta in essere con modalità tali da cagionare un pregiudizio alla dignità personale o alla salute dell’altro coniuge.

La decisione

Ebbene, nel caso in esame, la donna aveva dichiarato di aver subito una profonda umiliazione in conseguenza delle modalità con cui si era realizzata e manifestata la condotta lesiva, ciò in ragione non solo del tradimento in sè e delle modalità, appunto, con cui il marito aveva portato avanti la relazione extraconiugale, ma anche dell’inganno perpetratole nel privarla del diritto alla sessualità, con la giustificazione dell’intervento subito alla prostata per evitare rapporti intimi, decisione da ella rispettata con delicatezza, ancorchè con sacrificio, oltre che dell’essersi mostrato in pubblico in una occasione con la sua amante in atteggiamenti intimi caratterizzati da scambi di effusioni.

A tal proposito la ricorrente aveva dedotto un pregiudizio all’onore e alla reputazione, beni-interessi costituzionalmente tutelati siccome ricompresi nel più ampio contenitore dell’art. 2 Cost. Per queste ragioni è stata accolta la sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, che il Tribunale ha equitativamente determinato, ex artt. 1226 e 2056 c.c., nella somma complessiva di Euro 5.077,59, oltre interessi, facendo applicazione dei noti principi sanciti dalla Suprema Corte (sent. n. 1712/95).

Avv. Sabrina Caporale

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