Disturbo post traumatico da stress del lavoratore per le numerose rapine subite: è confermata la responsabilità del datore di lavoro per il danno subito dalla dipendente.

La Suprema Corte (Sez. Lavoro, Ordinanza n. 15105/2020) conferma la decisione del Giudice d’Appello e riconosce la responsabilità delle Poste Italiane per il danno subito dalla dipendente liquidato in 23 mila euro per avere subito più di dieci rapine in vent’anni di servizio presso lo sportello dell’Ufficio postale. La lavoratrice cita in giudizio Poste Italiane e INAIL chiedendo il risarcimento del danno biologico patito connesso a un disturbo post traumatico da stress di grado grave.

In primo e secondo grado viene condannata l’azienda Poste Italiane.

Entrambi i Giudici di merito osservavano che “la predisposizione, da parte della società, di misure di sicurezza quali l’impianto di telesorveglianza, la bussola multitransito, la cassaforte con apertura a tempo programmata, la cassaforte con apertura programmabile ogni quindici minuti, l’impianto di teleallarme a tastiera programmata e i vari pulsanti antirapina direttamente collegati a una centrale erano tutte misure dirette a non rendere fruttuosa per gli assalitori una azione criminale di rapina, ma non certo a tutelare i dipendenti. Dunque, il fine non era certamente quello di proteggere i lavoratori dalle rapine ma di fare in modo che queste non recassero troppi danni alla azienda, vietando, così come emerge dai testi escussi, di consegnare valori ai rapinatori che tenessero in ostaggio i colleghi ed obbligandoli così ad assistere inerti alle percosse dei primi ai secondi e pretendendo il rimborso da parte del dipendente di quanto rapinato laddove avesse consegnato il denaro”.

Per tali ragioni veniva riconosciuta la responsabilità contrattuale del datore di lavoro poiché sullo stesso incombe quell’obbligo di garanzia finalizzato a tutelare la persona del lavoratore in base al quale sussiste l’obbligo di adozione delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore.

Poste Italiane ricorre in Cassazione ritenendo errata la considerazione dei Giudici di merito di mancata predisposizione delle misure di sicurezza per la tutela dei lavoratori.

In particolare l’azienda sostiene che i dispositivi di sicurezza esistenti siano idonei anche a garantire gli operatori addetti allo sportello ed i soli adottabili nel contesto di un ufficio postale.

I Supremi Giudici evidenziano, invero, che il datore di lavoro è obbligato ad adottare, avuto riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, tutte le misure necessarie a tutelarne l’integrità psicofisica.

Nel caso in cui si tratti di attività lavorativa pericolosa “la responsabilità del datore di lavoro non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, ma tuttavia non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psico-fisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale, del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio”.

E quindi l’omessa predisposizione di dispositivi di sicurezza concretamente idonei a tutelare la salute e l’incolumità dei lavoratori, ovverosia alla predisposizione di quelle misure finalizzate, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori anche in relazione a eventi rischiosi, quali appunto le rapine.

L’onere di tale prova, che grava sul datore di lavoro, specificano inoltre gli Ermellini, non è stato fornito nei giudizi di merito.

Viene dunque confermata la responsabilità contrattuale di Poste Italiane per omessa adozione delle misure di prevenzione volte a preservare l’integrità psico-fisica del dipendente sul luogo di lavoro e confermato conseguentemente il risarcimento del danno già liquidato in € 23 mila.

Avv. Emanuela Foligno

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